Monday, September 28, 2009

JOSEPHINE




Smonti da una notte di guardia in ospedale ed il torpore che ti avvolge é sufficientemente denso per allontanare da te l'insulsa frenesia di tutto il mondo attorno.
Josephine é il disco giusto da metter su, perché la tristezza e la malinconia, che insopportabilmente ti assalgono senza preavviso alcuno, si fondano allo stesso tempo in un'inesplicabile dolcezza. Dolcezza di cui senti d'aver bisogno, ora che vorresti trovarti su spiagge di un mare d'autunno, dove onde e maree cominciano a farsi minacciosamente innanzi a falesie di roccia e case di mattoni.
Non può essere come gli altri un disco che nasce sul ricordo della scomparsa di un amico. Non può essere lo stesso tappeto di chitarre, quello esaltante di Jason Molina e soci, ad accompagnarti mentre percorri la tua strada lungo queste note.
Ma stamani va bene così: é esattamente quello di cui hai bisogno adesso. Ed é per questo che la malinconia si fa dolcezza e la dolcezza si fa affido. Affido che é mettere nelle mani di un Altro il dolore che hai incontrato e quello che senti dentro te, profondamente radicato nella tue contraddizioni e nella tua sempre insostenibile incertezza.
Ma nelle mani di Uno più grande di te, il gusto della vita si ritrova e Josephine é disco troppo breve per durare sino alla fine della strada. Lascia il passo, di nuovo, a quell'allegro tappeto di chitarre, che canta nuovamente la bellezza di sapere che ogni ansia e frenesia é già risolta. La banda della Magnolia Elettrica non smette di farti compagnia e Trials & Errors - prove ed errori, ma guarda un po' - ti ridona il brio e l'energia di cui avevi bisogno, appena un attimo prima d'essere arrivato sin laggiù, alla fine della strada che porta verso casa.

Thursday, September 24, 2009

Tuesday, September 22, 2009

CAHIERS DE FRANCE (5) - BELLEZZA


"Ricordate le valigie": la nostra guida al castello di Amboise, madrelingua italiana ma naturalizzata francese - per cui illustra le stanze del castello parlandoci con uno strano accento,  che mischia il napoletano alla lingua della sua nuova patria - ci sta spiegando della bizzarra abitudine di Francesco I di cambiare casa ogni due mesi. Beato lui che così non si annoiava mai. E beato lui che, per portarsi dietro tutti gli effetti personali, ossia l'arredamento intero, disponeva pure di diverse migliaia di uomini e cavalli al suo servizio. Per cui - ci spiega appunto la guida - se li guardiamo bene, tutti i mobili di quel tempo assomigliano in realtà a bauli, sia che si tratti di tavoli, letti o quant'altro, erano fatti cioé in modo da poter contenere di tutto al loro interno. Delle valigie, insomma, ed é da quel momento che tutti noi cominciamo a guardare gli arredi delle stanze dei castelli di Francia come all'equivalente dei tapis roulants degli arrivi di un aeroporto.
Questa mania di fare le cose in grande, comunque, sotto sotto, era un po' da parvenus; é la guida che ce lo dice e d'altra parte lei é italiana e, si sa, un po' di conflittualità coi cugini d'oltralpe ci sarà sempre; anche i miei figli, senza sapere nulla della storia, nel 2006 volevano andare in gita in Costa Azzurra indossando le magliette dell'Italia campione del mondo ed in fondo adesso mi dispiace un po' d'essere riuscito a suo tempo a convincerli a non farlo.
Comunque, Francesco I, in Italia c'era stato anche lui. A farci un po' di guerre, naturalmente, che per fortuna non gli erano andate tutte bene. Ma alla fine si era innamorato del nostro paese, al punto da convincere una ventina di artisti ad andarsene con lui in Francia, Leonardo Da Vinci compreso, che aveva scavalcato le Alpi a dorso di mulo a più di sessant'anni, poveretto; fatica peraltro ripagata dalla tranquillità degli ultimi anni di vita tra le mura del Clos Lucé, delizioso piccolo castello in quel di Amboise, a due passi dalla corte del suo re.
Un re vanitoso, con la mania di fare cose in grande, ma ferito, suo malgrado, dalla bellezza.

Abbondanza di bellezza ne troviamo in tutti i castelli che abbiamo scelto di visitare, qui nella tranquilla valle che la Loira ha modellato nel corso dei secoli.  Azay-Le-Rideau é deliziosamente appoggiato su un isolotto, come una pietra preziosa incastonata su un anello di pregevole fattura. Chenonceaux, originariamente consegnato in dono a Diana di Poitiers, favorita del re di Francia, diventa oggetto di disputa con la legittima consorte Caterina de' Medici ed il risultato é che ciascuna fa a gara con l'altra per renderlo più bello. Anche nei secoli a venire, quando i periodi di decadenza si fanno inevitabilmente incontro, spunta sempre fuori qualche donna a cercare di restituire bellezza a questo posto e le donne, si sa, di bellezza se ne intendono parecchio.  Chambord, poi, con la sua maestosità, ce lo gustiamo a lungo, pedalando nell'immenso parco che lo circonda, un tempo riserva di caccia del re. E' il luogo dove scopro che Andrea, il mio figlio più piccolo é già bravissimo ad andare in bicicletta da solo, guadagnandomi uun solenne rimprovero da parte di tutti gli altri per la mia ignoranza : "ma come, papà, non lo sapevi?".




Alla fine, nel mio viaggio in Francia, di bellezza ne ho incontrata davvero dappertutto. Anche nelle persone, ovunque gentili, accoglienti, felici del fatto che tu abbia deciso di visitare i loro luoghi. I maligni dicono che che ho incontrato gente così perché mi sono sforzato di parlare nella loro lingua: pare che rivolgendosi a loro in inglese diventino molto più nervosi.  Sarà, ma non importa, qualunque sia stata la ragione, sono contento d'essermi portato a casa abbastanza gioia.
Perché la bellezza é ciò di cui sento il bisogno ogni giorno, quella che percepisco sempre presente in ciò per cui la vita vale la pena d'essere vissuta.
Quando venne a Milano a celebrare il funerale di Luigi Giussani, l'allora cardinal Ratzinger disse che il don Giuss "era cresciuto in una casa povera di pane, ma ricca di musica, e così dall'inizio era toccato, anzi ferito, dal desiderio della bellezza e non si accontentava di una bellezza qualunque, di una bellezza banale: cercava la Bellezza stessa, la Bellezza infinita, e così ha trovato Cristo, in Cristo la vera bellezza, la strada della vita, la vera gioia".
Ecco allora cosa incontrare ogni giorno, anche qui a casa. 
Perché accada che la bellezza non mi abbandoni mai.

Wednesday, September 16, 2009

CAHIERS DE FRANCE (4) - PARIS


L'ile de la Cité é un vascello, la cui prua infrange dolcemente i flutti della Senna.
Mentre i miei figli giocano sereni nei giardini lungo il fianco della cattedrale, io non riesco a smettere di ammirare Nostra Signora di Parigi. Incastonata come l'albero maestro della nave, questo gioiello di pietra ha resistito agli scempi del tempo e degli uomini, sinché qualcuno ha ricominciato a preservarla. C'é poco tempo, più tardi, per visitarla nel dettaglio, oggi c'é il vescovo della città ed é giusto che la cattedrale sia tutta per lui e per il popolo. E, d'altra parte, é per questo che é nata; perché la meraviglia dell'arco a sesto acuto fosse segno di una presenza visibile. E luogo dove dare testimonianza della bellezza di un avvenimento: quello del Verbo incarnato, sempre presente in mezzo a coloro che sono uniti nel Suo nome.
Forse il mistero che mi lega eternamente a questa città é nel cuore di questa cattedrale. E' per questo che continuo a guardarla, a girarle intorno, a scattare mille foto ai suoi portali ed ai gargouilles, fermandomi stupito sempre in modo nuovo, fino a portare a sfinimento una combriccola di moglie e figli che non possono stare all'infinito dentro i miei pensieri. 
Quindi dopo un po' si scappa via, per correre fin lassù in cima, le altezze della Torre Eiffel, dove inseguire il sogno di vivere una città à vol d'oiseau, un luogo alto dove magari assistere a quel "risveglio di campane", descritto così bene da quel Victor Hugo, che come nessun altro amò questa città immensamente: "(...) ascoltate questa piena orchestra di campanili, spandete su tutto il mormorio di mezzo milione di uomini, il lamento eterno del fiume, l'infinito spirare del vento, il quartetto grave e lontano delle quattro foreste schierate sulle colline all'orizzonte, come immensi mantici d'organo, smorzate in questo come in una tinta neutra tutto ciò che lo scampanio della città avrebbe di troppo roco o di troppo acuto, e ditemi se conoscete al mondo qualcosa che sia più ricco, più gioioso, più dorato, più splendente di questo tumulto di campane e campanelle; di questa fornace di musica; di queste diecimila voci di bronzo che cantano insieme dentro flauti di pietra alti trecento piedi; di questa città che é tutta un'orchestra; di questa sinfonia che tuona come l'uragano"  (Notre-Dame De Paris)



Se Parigi val bene una messa, la Sainte Chapelle val bene una coda, neppure, tutto sommato, troppo lunga, anche perché Andrea, il più piccolo, trova il modo per giocare anche lì.
Quando hai visto le vetrate del luogo voluto da San Luigi per custodirvi le reliquie della passione di Cristo, non riesci più a guardarne altre in nessun altro posto.  E' così che si rimane a lungo sospesi, sguardi prolungati per immagazzinare nella memoria immagini che nessun servizio fotografico riuscirà mai a registrare in modo fedele e permanente.  Non c'é nulla che possa riprodurre la luce del sole, magari quella del tramonto, mentre, passando attraverso pitture di vetro dai mille colori, arriva dritta dentro la tua mente ed il cuore delle tue emozioni.  Fremiti e sussulti, fuoriusciti dai rosoni del transetto della cattedrale di Notre-Dame, giunti magicamente fino a qui ed ora rimbalzanti senza sosta da una vetrata all'altra.
Sopravvissuta alle ingiurie del tempo e delle guerre degli uomini, la Sainte Chapelle é un altro gioiello custodito sulla plancia del vascello della Cité.



Prima di cominciare a dipingere il quadro, hanno sistemato tutti la cornice.
I pittori di Montmartre, disposti ordinatamente l'uno accanto all'altro, lungo il profilo quadrato della piazzetta, riescono a coprire la vista dall'orribile serraglio di tavoli di ristorante disposto tutto al centro. E così, nonostante gruppi di turisti spietatamente posti in posa per decine di scatti fotografici di terribile fattura, questo luogo riesce a non perdere il suo fascino.
Dopo un picnic improvvisato, consumato tranquillo in una viuzza laterale, passeggiamo senza fretta, grandi e piccini, lontani finalmente dal traffico e dallo smog, mentre, da lontano, il suono di una fisarmonica accompagna mille pensieri, liberi di correre finalmente senza freni.

Tre o quattro giorni, in una città così, son troppo pochi.
Ce ne vorrebbero dieci, cento, più di tutti quelli che vi ho già passato. Per questo Parigi non mi stanca mai, é un luogo dove non smetterei mai di tornare. Come Roma del resto. O come Assisi. Per mille motivi, simili e differenti allo stesso tempo. Ma anche per l'unico motivo che il cuore, in questi luoghi, non smette mai di battere impazzito.
Ma "una città non basta", scrisse una volta Chiara Lubich, in una sua splendida meditazione.
Non basta perché il cuore dell'uomo desidera qualcosa di ancora più grande delle bellezze di una città. Ed é a questo desiderio che, giunto a casa, decido di puntare; perché la nostalgia non prenda il posto della realtà; perché la bellezza sia contenuta nell'istante, il Mistero dentro l'attimo presente che ti capita innanzi nella vita. 
Attimo da vivere, tutto intero.

"(...) Ma con un Dio che ti visita ogni mattina, se vuoi, una città é troppo poco.
Egli é colui che ha fatto le stelle, che guida i destini dei secoli.
Accordati con Lui e mira più lontano: alla tua patria, al mondo.
Ed ogni tuo respiro sia per questo, per questo ogni tuo gesto; per questo il tuo riposo e il tuo cammino.
Arrivato là, vedrai ciò che più vale e troverai ricompensa al tuo amore.
Fà in modo di non doverti pentire in quell'ora d'aver amato troppo poco"

(Chiara Lubich, Una Città Non Basta)

Wednesday, September 09, 2009

CAHIERS DE FRANCE (3) - SPIAGGE




Alla spiaggia di Etretat si arriva cavalcando lo stupendo pont de Normandie. Bello come i grandi ponti americani e con una vista sull'estuario della Senna capace di spalancarti letteralmente il cuore. Quando arriviamo in fondo, il casellante, madrelingua francese ma padre sardo, decide di raccontarci tutto sulla sua famiglia, riempendoci poi di volantini che narrano la storia di ogni vite e bullone di questo capolavoro dell'ingegneria. Ci saluta tutto allegro e sorridente e noi proseguiamo lungo la campagna francese, ovunque bella e spaziosa e che porta dritto sin lassù, il mare della Manica.
Incontrare le falesie di Etretat, al mattino di una calda giornata di sole, vuol dire fermarsi e innamorarsi a prima vista, consapevoli che la nostalgia per questo luogo non ti lascerà mai più.
Incorniciati tra archi di roccia che si tuffano in un mare scintillante, incontriamo uomini e gabbiani, vento, barche a vela e tavole da windsurf, in un gioco di tempi e di armonie dove nulla sembra fuori posto e fuori luogo. Perfino le crepes, gustate in un ristorantino che in fondo non appare neppure troppo turistico, sembrano più buone di quel che sono, perché poi - non ditelo ai francesi - ci sono posti in Italia dove le fanno pure meglio.
Quando le prime nuvole cominciano ad apparire all'orizzonte e ci fanno comprendere che qui il tempo cambia più rapidamente dei pensieri, noi siano già in viaggio verso Honfleur, dove le scogliere lasciano il passo a coste più tranquille ed il mare s'insinua nel delizioso porto del Vieux Bassin, dove le barche sembrano ancora quelle costruite dai maestri d'ascia di secoli fa, gli stessi che costruirono anche la chiesa di santa Caterina, tutta di legno ed a doppia navata, quasi fosse anche lei una gigantesca doppia barca, pronta ad accogliere le anime erranti naufragate sin qui da luoghi lontani.
Passeggiamo senza meta, mentre la notte scende lentamente, più lentamente che altrove in questi luoghi del nord. Magicamente dipinti dentro ad un quadro impressionista, lasciamo che questo mare entri in noi come la notte, dolcemente, a poco a poco.


"Se vogliamo sbarcare, dovremo portare i nostri porti con noi". Winston Churchill non aveva dubbi, quando decise di costruire in segreto, nelle officine di Londra, il porto artificiale che avrebbe consentito lo sbarco di uomini, tonnellate di merce e migliaia di veicoli blindati sulle spiagge di Normandia.
Quando si arriva ad Arromaches, dove é allestito anche il museo dello sbarco, quello che racconta per filo e per segno quel che accadde il 6 giugno 1944, pezzi di quel vecchio porto sono ancora in vista in mezzo al mare, solo che adesso ci trovi i motoscafi che ci girano intorno o bambini che li osservano sullo sfondo mentre giocano tranquilli sulla spiaggia.
Se ti fermi qualche istante e provi a giocare con l'immaginazione o la memoria di visione di vecchi film, puoi sforzarti di vedere quell'inferno che passò da qui, ma non ci riesci, non ci puoi riuscire davvero fino in fondo.
Ti ci avvicini un po' di più, forse, quando passi dal cimitero americano di Colleville Sur Mer.
E' allora e solo allora, quando passeggi in mezzo alle diecimila croci bianche dei caduti americani, su una tranquilla collinetta posta al di sopra della famigerata spiaggia di Omaha Beach, che la follia della guerra sembra assalirti finalmente tutta intera.
Ma é anche allora che il tuo sguardo riesce a scaricarsi d'angoscia, nel momento stesso in cui si fa capace di diventare preghiera; ed é allora che riesce a guardare di nuovo verso il mare, dove laggiù, in lontananza, cogli le persone passeggiare sotto il sole ed i bambini giocare finalmente coi gabbiani.


Di ritorno da Dinan, delizioso borgo medievale in terra di Bretagna, non c’è tempo per passare da Cancale, l’unico posto dove si possano mangiare ostriche al prezzo delle cozze, permettendosi pure di gustarle sui muretti del porto buttando i gusci alle spalle senza che nessuno abbia qualcosa da ridire. Pazienza, sarà per un'altra volta, tanto più che le ostriche in famiglia pare non piacciano granché.
Ma la strada che costeggia il mare e che da Cancale porta fino alla baia del Mont Saint Michel, quella sì che rimane da godere tutta intera. Lungo il percorso, sfondi di orizzonti dai colori e dalle dimensioni senza tempo; e poi ragazzi che giocano con gli aquiloni (quanto tempo era che non vedevo più?) e strane barche a vela, che corrono su ruote e senza freni, in una spiaggia che sembra non finire più. Più in là, ecco barche ancora più bizzarre, coricate su un fianco e che appaiono quasi senza vita, ma pronte a risorgere appena la marea riempirà di nuovo d’acqua quelli che sembrano canali prosciugati.
Mentre mia moglie ed i miei figli sonnecchiano in macchina lungo la strada, anche i miei pensieri appaiono senza spazio e senza tempo, accoccolati sulle tranquille strade francesi, dove gli automobilisti guidano senza correre e senza spazientirsi mai. Mica come qui da noi, dove un’insensata frenesia, non si sa a quale scopo, sembra dominare ogni percorso.
Avessi avuto con me anche Get Lucky, il nuovo disco di Mark Knopfler, sarebbe stato la colonna sonora perfetta per questi paesaggi di Normandia, angolini d'Inghilterra trapiantati in terra di Francia e dal fascino tutto speciale. 
Vabbé, vorrà dire che me lo ascolterò adesso, mentre viaggio sconsolato, alle prese coi ricordi, lungo tristi strade milanesi senza infamia e senza lode. Una colonna sonora ideale, per un autunno quasi cominciato e per i miei inguaribili sogni ad occhi aperti.


Tuesday, September 01, 2009

CAHIERS DE FRANCE (2) - LA MARIAPOLI DELLE PERSONE




"Quanto manca ancora?""Ma come quanto manca? Il divertimento sta nel viaggio, in questo preciso momento e in quello successivo e così fino a sera. E tu pensi quanti chilometri devi ancora fare o a che ora prevedi di arrivare...".
E' mattina presto e non ho ancora fatto in tempo a mettere il muso dell'auto davanti alla strada che, precise come un orologio svizzero, arrivano le fatidiche parole di mio figlio: "quanto manca?". E' allora che fa capolino nella mia mente questa frase di Roberto Patrignani sulla bellezza del viaggiare, ma mi limito a rispondere: "porta pazienza, Marco, é un viaggio lungo questo, cerca di schiacciare un pisolino...".
D'altra parte come farei a spiegare a mio figlio che adoro viaggiare, che mi viene in mente Kerouac persino quando sono imbottigliato nel traffico e che, se non bastasse, il fatto di mettermi nuovamente in viaggio per Parigi, dopo un milione di anni dall'ultima volta, fa salire l'eccitazione ad un livello quasi insostenibile?
E allora che importa quanto manca, il bello del viaggio é viaggiare, quindi pronti via, ragazzi, e godetevi anche quel che vedrete dai finestrini.

La meta, però, quella sì che é importante, almeno quanto il viaggio.
Se non sei capace di vivere l'esperienza del viaggio, di godere di ogni istante proiettato solo nel futuro di quel che arriverà o nella nostalgia di un passato che non può più tornare, difficilmente riuscirai a stare al mondo con sufficiente dignità e soprattutto con felicità. Ma devi sapere dove stai andando e perché stai facendo quel che fai.
Noi stiamo andando a Parigi ed é già abbastanza eccitante di per sé.
Ma c'é una casa che ci aspetta laggiù, qualche chilometro a sud della periferia della città, la casa che una famiglia di amici ha messo a disposizione della mia perché loro si trovano altrove per qualche giorno; non una casa qualunque, però, da mettere a disposizione quando ce n'é bisogno: questa é davvero la loro casa, quella in cui abitano sempre per il resto dell'anno.
Noi, questi amici, non li abbiamo mai visti: ce li faremo indicare nelle foto, immortalati nei quadretti che hanno appeso in casa. Ma sono amici veri, perché non hanno esitato a mettere in comune con noi ciò che possiedono. Chantal e José sono focolarini della Francia ed in questo momento si trovano in Bretagna in Mariapoli, a vivere quel momento di vacanza e d'incontro che il Movimento dei Focolari moltiplica in tutto il mondo, spesso nel periodo estivo. Mariapoli come città di Maria, luogo in cui provare a formare un bozzetto temporaneo di società nuova fondata sul Vangelo.

Quando arriviamo ad Arny, troviamo Denise ad attenderci in giardino.
E' lì solo per questo: per aspettare il nostro arrivo; é venuta apposta da Parigi per questo e non sapeva neanche l'ora del nostro arrivo, ma non sembra per nulla scocciata, anzi accoglie gli "amici italiani" con un sorriso meraviglioso.
Ci accompagna nel nostro appartamento, che a me pare meglio della reggia di Versailles, arredato con armonia e bellezza e ricavato da alcune stanze in una splendida villa del secolo scorso. Nei giorni successivi sarà soprattutto Cécile, l'altra focolarina che ci raggiunge poco dopo, ad accoglierci sempre con squisita attenzione.
Con mia moglie ed i miei figli, avremo modo di visitare questo luogo, la cittadella del Movimento qui a Parigi che, per ora, é ancora poco sviluppata negli edifici, ma lo é già molto nei cuori di chi vi abita e di chi frequenta questo posto.
Spesso la domenica giungono qui in visita decine di persone, famiglie con bambini, semplicemente per passare un po' di tempo assieme. Prima di partire da Parigi, destinazione Normandia, lasceremo in dono a Chantal ed a José un cesto ricolmo di prodotti tipici nostrani, che avevamo preparato e portato con noi dall'Italia: sapremo dopo pochi giorni che, alla prima occasione, verrà subito condiviso con tutti gli altri.


Quando, con un pizzico di sofferenza, Cécile mi racconta delle difficoltà di espansione che hanno in questo luogo, dei veti dell'amministrazione comunale sui permessi per iniziare a costruire, colgo in lei degli occhi capaci di vedere in ogni avvenimento - sia esso un successo oppure una difficoltà - il disegno di un Altro e quindi che sanno rivestirsi sempre di uno sguardo d'amore luminoso e profondo. "Sai - mi dice - Dio per ora ha voluto così e quindi noi andiamo avanti contenti. Intanto viviamo fino in fondo questa realtà, questa "mariapoli delle persone".
Persone come Cécile e Denise, come Chantal e José, che non avevamo mai visto né incontrato, ma che ci hanno amato di un amore così gratuito e totalitario da farci sentire legati a loro come fratelli e sorelle.

Quando, al mattino della partenza per Honfleur, lascio in mano a Cécile un bigliettino di ringraziamento per i giorni trascorsi, le trasmetto nel mio scritto l'esperienza vera che abbiamo vissuto in questo breve periodo, quella dello spirito di famiglia di cui Chiara Lubich ci ha sempre parlato, divenuto ora suo vero e proprio testamento spirituale, e che non ci farà dimenticare mai più ciò che abbiamo vissuto qui:
Se oggi dovessi lasciare questa terra, e mi si chiedesse una parola come ultima che dice il nostro Ideale, vi direi, sicura d’esser capita nel senso più esatto: “siate una famiglia” (...) Insomma se dovessi partire da voi, in pratica lascerei che Gesù in me vi ripetesse : “Amatevi a vicenda affinché siano tutti uno “ (Chiara Lubich)