Saturday, March 29, 2008

UN SORRISO SUL METRO'



E così oggi mi tocca prendere il treno, per andare a fare la notte in ospedale.
D’altra parte, se la macchina è guasta, in qualche modo ci dovrò pure andare al lavoro.
E allora prendo il metrò, vado alla stazione e mi mischio insieme ad un mucchio di persone, popolo di pendolari che ritorna a casa.
Quanto tempo era che non mi capitava più. Troppo abituato a fare i conti coi miei pensieri in auto, avanti e indietro tutti i giorni per la stessa strada, ad ascoltare musica dal lettore cd, a rispondere al telefono, a chiacchierare qualche volta – troppo poco, in verità – con Quello che sta lassù.
Così mi metto a guardare le persone - accidenti, mi piace l'idea! - e per giunta non sono neanche troppo stanco: io a lavorare ci sto andando adesso, mentre molti di questi la giornata l'han già vissuta quasi tutta.
Quanta gente tutta diversa, cresce la curiosità e lo stupore. E si fa strada anche un pensiero, che vorrebbe essere condivisione: quante storie riesci a intravedere, dietro al volto di ciascuno ?

Il metrò si ferma alla stazione e salgono papà e mamma nomadi, col figlio piccolino.
All'improvviso cresce il disagio intorno a me e, ad essere sincero, anche dentro di me.
Perchè non è mica gente facile quella lì: quante volte mi è capitato di curarli in ospedale e come è faticoso ogni volta; perchè spesso non si fanno affatto aiutare, nel loro rifiuto delle regole, nel vivere una vita così diversa, fuori dai nostri schemi abituali.
Ad un certo punto l'uomo attacca a suonare: ha una fisarmonica al collo, augura a tutti la buona sera e si mette a cantare. E la musica, ancora una volta, mi attrae e catalizza la mia attenzione. E mentre ascolto, si riaffacciano alla memoria quei musicisti improvvisati, che affollavano i metro' di Londra e Parigi già tanti anni fa e che mi avevano così affascinato la prima volta che li avevo visti. Ma la musica dura poco, giusto lo spazio di una fermata. Il treno rallenta e il bimbo passa tra tutti i passeggeri, mostrando a ciascuno la desolazione di un bicchiere di carta troppo vuoto.
Apro il borsellino e il sorriso di quel bimbo arriva all'improvviso: segue solo di un istante il rumore della mia monetina sul fondo vuoto del bicchiere.

Davanti a me un uomo che sembra avere la mia età, bello e impeccabile nel suo completo scuro; scrive e-mail al palmare, con una mano sola, e come faccia non lo so: il mio cellulare qua sotto non prende neppure la linea; ma lui è tutto indaffarato, in quello che ai miei occhi appare un gioco, ma che invece è una cosa seria, perchè - che diamine - siamo milanesi e noi sì che lavoriamo sempre.
Quel bambino lo sfiora, lui invece manco lo guarda, anzi si scosta piuttosto infastidito.
Per un attimo mi sento più bravo di lui, ma è solo un momento.
Pochi secondi appena e mi ricordo i farisei, quelli che non piacevano per nulla a Gesù. E allora è lo spazio di un istante, e mi rimetto subito in riga.
E intanto mi rendo conto che è così: quel gesto non mi ha reso migliore, proprio per niente.
Ma il sorriso di quel bambino, quello sì che mi ha cambiato.
Poco a poco sta scendendo dentro me e mi scalda col suo calore, come il sorriso di Uno più grande, Colui che move il sole e l'altre stelle.
Come facevi a saperlo, Signore, che avevo proprio bisogno di quello per cominciar bene la mia giornata ?
Quel sorriso, finalmente, era ciò che mi mancava.
Questa sera me lo porterò al lavoro.

Monday, March 24, 2008

AIN'T TALKIN'

AIN'T TALKIN', JUST WALKIN'
luci d'attimo presente, dentro i versi di un amico (*)



"Most of the time
I'm cleared focused all around
Most of the time
I can keep both feet on the ground
I can follow the path, I can read the signs
Stay right with it when the road unwinds"

("Il più delle volte
metto a fuoco quanto ho intorno
Il più delle volte
so stare coi piedi per terra
Posso seguire il percorso, leggere i segnali
Tenermi in piedi quando la strada comincia a girare")


Il più delle volte, Signore,
non smarrirò la strada,
se il silenzio saprà farsi strada,
dentro di me.
Se saprò capire
d'essere strumento e non fattore.
Allora, colpo su colpo, lo Scultore compirà il suo lavoro.
Farà male a volte, certamente,
ma non ho paura.
E quando sarò vuoto, finalmente,
saprò accogliere il fratello davanti a me.

E così vado avanti, mio Dio,
la strada é diventata larga.
Ma "non parlo, cammino solamente",
il mio silenzio l'hai riempito Tu.

"Well, I'm pressing on,
Yes, I'm pressing on
To the higher calling of my Lord."


(*) le parole in corsivo sono versi tratti da canzoni di Bob Dylan



Sunday, March 23, 2008

LUI E' RISORTO



Ma l'angelo disse alle donne: "Non abbiate paura, voi! So che cercate Gesù il crocifisso. Non è qui. E' risorto, come aveva detto; venite a vedere il luogo dove era deposto. Presto, andate a dire ai suoi discepoli: è risuscitato dai morti, e ora vi precede in Galilea; là lo vedrete. Ecco, io ve l'ho detto"

(vangelo di Matteo, 28, 1-7)

Wednesday, March 19, 2008

UNA SOLA FAMIGLIA

Vorresti provare a descrivere quello che è stato l’ultimo saluto a Chiara alla basilica di San Paolo, ma non ci riesci.
Non ci riesci perché di quell’abbraccio di popolo fai parte anche tu.
Allora conservi nel cuore mille sguardi.
Quelli, tutti sorridenti, dei tuoi amici, che hai incontrato in stazione a Milano e poi a Roma, e in ogni dove. Gli sguardi delle prime compagne di Chiara, quello commosso di don Oreste, quello composto, ma commosso anch’esso, del cardinal Bertone.
E poi gli amici di tutte le razze, di tutti gli altri movimenti, cattolici e cristiani, delle altre religioni. Anche loro tutti presenti là e anche loro nella stessa disposizione d’animo, tutti a respirare lo stesso clima d’unità.
Perché questo si è respirato quaggiù in quei momenti: aria di paradiso.
E alla fine ce ne andiamo via, quasi con nostalgia, perché fai fatica a ritornare in terra da lassù.
Ma ripercorri quella strada che Chiara ha tracciato per te e con una certezza in più: quella che Chiara, ora, è davvero di tutti.
Come ha detto Luce Ardente, il monaco buddista anche lui rapito da lei: “mamma Chiara non è solo vostra, è anche nostra. Anzi, lei è del mondo intero”.
E allora torni da dove sei partito e vai avanti.
Con un sigillo d’oro nel cuore, l’unità con Chiara.
E con un’altra certezza ancora, il suo testamento, che – ora sì – sai che è possibile davvero: “siate una sola famiglia!


"Se oggi dovessi lasciare questa terra e mi si chiedesse una parola, come ultima che dice il nostro Ideale, vi direi - sicura d'esser capita nel senso più esatto - : "Siate una famiglia".
Vi sono fra voi coloro che soffrono per prove spirituali o morali? Comprendeteli come e più di una madre, illuminateli con la parola o con l'esempio. Non lasciate mancar loro, anzi accrescete attorno ad essi, il calore della famiglia.
Vi sono tra voi coloro che soffrono fisicamente? Siano i fratelli prediletti. Patite con loro. Cercate di comprendere fino in fondo i loro dolori. Fateli partecipi dei frutti della vostra vita apostolica affinché sappiano che essi più che altri vi hanno contribuito.
Vi sono coloro che muoiono? Immaginate di essere voi al loro posto e fate quanto desiderereste fosse fatto a voi fino all'ultimo istante.
C'è qualcuno che gode per una conquista o per un qualsiasi motivo? Godete con lui, perché la sua consolazione non sia contristata e l'animo non si chiuda, ma la gioia sia di tutti.
C'è qualcuno che parte? Lasciatelo andare non senza avergli riempito il cuore di una sola eredità: il senso della famiglia, perché lo porti dove è destinato.
Non anteponete mai qualsiasi attività di qualsiasi genere, né spirituale, né apostolica, allo spirito di famiglia con quei fratelli con i quali vivete.
E dove andate per portare l'ideale di Cristo... niente farete di meglio che cercare di creare con discrezione, con prudenza, ma decisione, lo spirito di famiglia. Esso è uno spirito umile, vuole il bene degli altri, non si gonfia... è, insomma, la carità vera, completa.
Insomma, se io dovessi partire da voi, in pratica lascerei che Gesù in me vi ripetesse: "Amatevi a vicenda... affinché tutti siano uno".

Chiara, 25 dicembre 1973

Friday, March 14, 2008

CIAO CHIARA


Chiara Lubich
(Trento, 22 gennaio 1920 - Rocca di Papa, 14 marzo 2008)

Non riesco a scrivere, in questo giorno, su questo blog, ma non lo voglio lasciar passare invano.
E, tra stelle e lacrime, ho in cuore le ultime parole di Chiara sul suo libro "Il grido" :

"E quale il mio ultimo desiderio ora e per ora ? Vorrei che l'Opera di Maria, alla fine dei tempi, quando, compatta, sarà in attesa di apparire davanti a Gesù abbandonato-risorto, possa ripetergli - facendo sue le parole che sempre mi commuovono del teologo belga Jacques Leclercq: "...il tuo giorno, mio Dio, io verrò verso di Te... Verrò verso di Te, mio Dio (...) e con mio il sogno più folle: portarti il mondo fra le braccia".
"Padre, che tutti siano uno!"



Post Scriptum

Quando il giorno volge al termine, riesco finalmente ad aggiungere qualcosa.
Da Rocca di Papa giungono echi di un fiume di persone, incessante, che ha salutato Chiara ieri quand’era in vita, e che continua a farlo oggi, nella sua camera ardente.
Ed è un fiume che grida una sola parola: unità.
Quell’unità che era la parola di vita incarnata da lei, il testamento di Gesù : “Padre che tutti siano uno!”.

Ho pianto tanto e a lungo oggi, ma non era solo tristezza.
Era anche e soprattutto commozione.
Perché ciò che ho sperimentato – comunione tra così tanti amici – è già un miracolo.
Ed è questo è che mi conquista e mi converte anche oggi.
Ed è già segno di un amore di Chiara persino più grande di quello di prima: Amore che giunge dall’Eternità.

Tuesday, March 11, 2008

I DISCHI DI TONY

Me lo ricordo bene Tony. 
Era un ragazzo in gamba, simpatico e intelligente, andava bene anche all'università.
Un po' più vecchio di me, ma era lo stesso periodo in cui andavo all'università anch'io. 
Già, sembra davvero un milione di anni fa.
Studiavo medicina e sul libro dei libri - The Harrison's Principles of Internal Medicine - il virus dell'epatite C non c'era ancora: tutte quelle infezioni del fegato, causate da un germe ancora sconosciuto, venivano chiamate "epatiti non A-non B".
Anche il virus HIV era un illustre sconosciuto e l'umanità non aveva ancora fatto i conti con lo spettro dell'AIDS.

Il Natale di quell'anno Tony venne a casa mia con un bel regalo: For Everyman di Jackson Browne, un cantante che non conoscevo ancora e che avrei presto cominciato ad apprezzare.
A distanza di anni continuo a riascoltarlo con piacere.  
Per non parlare di Running On Empty: quello me lo porterei pure sulla classica isola deserta.

Il Natale dell'anno dopo Tony venne ancora a casa mia.
Questa volta mi aveva portato Strong Persuader, di un giovane musicista blues che prometteva assai bene : Robert Cray.
Un gran bel disco, anche per me che, in fin dei conti, non sono mai stato un grande appassionato di blues.  Ma questo disco mi piacque subito e, come quello di Jackson Browne, anche lui finì più volte sul piatto del mio giradischi, per tutti gli anni a venire.

Sicuramente anche Tony lo ascoltò,  ma non per troppo tempo ancora.
Cominciava a non star bene e quando, tempo dopo, riuscii a parlare al telefono con uno dei medici del reparto in cui era stato ricoverato, la diagnosi che fece fu di quelle che non lasciavano scampo: la sindrome da immunodeficienza acquisita questa volta aveva preso proprio lui.


La gente a volte dà per scontato che i medici siano più bravi nel comprendere il significato della sofferenza. 
Magari fosse vero e invece sono solo più abituati a trovarsela davanti tutti i giorni.
E non che questa cosa li renda migliori, anzi.  C'é persino il rischio che diventino più cinici o, tutt'al più, che difendano se stessi, diventando apparentemente freddi ed insensibili.
Il problema é che anche i medici sono uomini come gli altri e anche a loro la sofferenza dà fastidio.  
A meno che accada qualcosa di diverso.  
Accada cioè che, come uomini, accettino di essere feriti dall'altro:

"(...) prima o poi ogni persona fa un'esperienza che segna l'inizio della sua piena maturità: capisce nella propria carne e intelligenza che, se vuole sperimentare la benedizione legata al rapporto con l'altro/a, deve accettarne la ferita.  Comprende, cioè, che non c'è vita buona senza passare attraverso il territorio buio e pericoloso dell'altro, e che qualunque via di fuga da questo "combattimento" e da questa agonia conduce inevitabilmente verso una condizione umana senza gioia" (Luigino Bruni )  (1)

La ferita dell'altro.
Quante ferite vediamo noi medici ?
Tante, troppe, poco o tanto sostenibili.
Ma questa, forse, é la ferita che vale la pena di subire; se riusciamo a coglierla, dentro ciò che ci accade davanti ogni giorno, forse possiamo cominciare a capire anche noi. 
E a ringraziare. 
Anche di fare un mestiere tra i più difficili di tutti - forse il più difficile - ma che ti può dare tanto di più.


Qualche giorno fa mi sono comprato due bei dischi in vinile.
Due lp vecchi, di Tanita Tikaram (ve la ricordate ? Non era niente male), ma nuovi di pacca, mai toccati dalla puntina del giradischi; due euro e mezzo l'uno, al mercatino: meno del prezzo del pane a Milano.
Mi ha fatto risentire giovane, come quando bazzicavo per negozi di dischi quasi tutte le settimane.  Ne avevo proprio bisogno.
Poi, arrivato a casa, ho ripreso in mano anche i dischi di Tony.
Mi é venuta in mente la sua ferita, ciò che gli é capitato, il mistero del perché sia successo proprio a lui.

Sono ancora belli quei dischi e, a dispetto degli anni, suonano ancora che è una meraviglia.
Ogni volta che li prendo in mano mi torna in mente Tony e non sarebbe la stessa cosa se ascoltassi quelle canzoni da un freddo file mp3, magari fuoriuscito dall'iPod.
Credo proprio che anche Tony, in fondo, continui ad ascoltare bella musica: devono avere impianti stereo fantastici, lassù in paradiso.
Peccato, non siamo mai riusciti ad ascoltare quei dischi insieme; ma lo faremo, un giorno, ne sono certo.

Note :
(1)  Luigino Bruni - La ferita dell'altro - economia e relazioni umane - Ed. Il Margine

Saturday, March 08, 2008

8 MARZO


Mi sono riguardato per l'ennesima volta Pretty Woman.
Ormai é passato così tante volte in televisione, non si contano più. Eppure ogni volta non resisto e ne riguardo un pezzetto. Romanticheria hollywoodiana, dalla trama e dal finale scontati ?  E va bene, ma mi piacciono anche le storielle così:  non é che sia sempre obbligatorio dialogare su massimi sistemi.  E poi alzi la mano chi non si é mai commosso per un niente.  In fondo anche i duri hanno un cuore ed io non ho mai avuto un cuore duro e forse é anche per questo che a volte soffro un po' di più.
OK, fine dello sproloquio e se non vi siete già stufati e vi state anche chiedendo dove voglio andare a parare, vado avanti e vi spiego anche cosa mi é piaciuto del film, quando l'ho rivisto l'altra sera.

No, non é 
Julia Roberts (anche se é splendida) e neanche la musica del film (c'è dentro anche un certo Roy Orbison), ma é una scena verso la fine, in cui l'affarista Edward Lewis (Richard Gere), per la prima volta nella sua vita, infrange tutte quelle regole che, da uomo senza scrupoli di Wall Street, ha seguito fino a quel momento e decide di entrare in società con James Morse, il proprietario della compagnia marittima che avrebbe potuto rovinare, come aveva a lungo progettato di fare.    L'anziano magnate rimane sorpreso e mette una mano sulla spalla di Lewis, ancora incredulo e titubante: "signor Lewis, faccio fatica a dirlo senza sembrare accondiscendente, ma ... sono fiero di lei".  
E' solo un istante, ma nel volto di Lewis non c'è fierezza né un minimo di soddisfazione; mormora un "grazie" imbarazzato, ma fa per scostarsi, é quasi a disagio e prova ritrosia.
Il fatto é che, per la prima volta, ha accettato di essere provocato dalla realtà, ma non é ancora capace del tutto di amare.
Come un bambino, che si é appena messo in piedi e comincia solo ora a camminare.
Ma ad amare s'impara presto e tra non molto comincerà a correre, basta che non dimentichi una regola fondamentale, che c'è sempre bisogno di dare la mano a qualcuno.
Perché abbiamo tutti bisogno di redenzione, prima o poi : l'unica fatica è ammettere che é vero.



Vabbé, tutto questo per una storiella d'amore, ma tant'è, oggi é la festa della donna e quindi auguri a tutte coloro che passeranno da qui.
D'altra parte le donne reggono il mondo, l'ha detto anche Bob Dylan, una volta, in un'intervista a Rolling Stone e lui é uno che di donne se ne intende.  Io ne ho incontrata una che mi ha salvato l'esistenza un po' di tempo fa e l'ho sposata.  Spero che per molti, oggi, ci sia un volto da ringraziare nella propria vita.

Per tutti, comunque sia, ce n'è uno più grande, che Dante ha descritto con parole meravigliose, e che, per fortuna, mandano in frantumi tutte le stupidaggini che ho scritto sinora.
Ed é a Lei che anche oggi, un'altra volta ancora, si rivolge il mio sguardo.

Vergine madre, figlia del tuo Figlio,
umile ed alta più che creatura,
termine fisso d'eterno consiglio,
tu se' colei che l'umana natura
nobilitasti sì, che 'l suo Fattore
non disdegnò di farsi sua fattura.

Nel ventre tuo si raccese l'amore,
per lo cui caldo ne l'eterna pace
così é germinato questo fiore.
Qui se' a noi meridiana face
di caritate, e giuso, intra 'mortali,
se' di speranza fontana vivace



(disegno di Chiara Rivera)

Monday, March 03, 2008

DESIDERIO


"Ma secondo voi cosa significa conversione ?"
Beh, confesso che la domanda, posta così a bruciapelo, mi aveva sorpreso un po'.
E così, quando é arrivata all'improvviso, nel contesto di un gruppo di amici - genitori di bambini che si stanno preparando nella catechesi settimanale - sono rimasto lì a pensare, senza trovare subito una vera risposta.
Poi mi é venuta in mente una parola : desiderio.
"Uno stato di affezione dell'io", dice la spesso inaffidabile Wikipedia, che però questa volta ci prende, perché di affetto si tratta davvero.
Allora, tornato a casa, sono andato a caccia di aiuti ed ho trovato questa frase di Don Giussani: "il desiderio é l'emblema della libertà perché apre all'orizzonte della categoria, della possibilità".

Ma guarda un po', mi sembrava di saperlo che alla fine si trattasse ancora una volta della mia libertà.
Libertà di pregare, magari, perché il desiderio é presente in te, ma é un Altro che lo allarga davvero, come dice bene il Papa nell' enciclica Spe Salvi (1).
E libertà di giocarsi ancora una volta in un cammino di amici, in una comunione di popolo che ti educa e sostiene, nonostante tutto ed ogni giorno di più, a dispetto delle tue miserie, che scopri - ahimé - sempre più grandi.
Salvo scoprire che é possibile davvero vivere così, che quella libertà ti ha aperto l'orizzonte della possibilità.
Fino a rendere quel desiderio sempre più incessante, sempre più quotidiano.
Sino a far rinascere l'affezione, la voglia di sentire il Suo calore, la presenza di Colui che l'ha promessa a tutti quelli uniti nel Suo nome.

E non hai bisogno d'altro per rendere la tua vita sempre più affascinante, sempre più degna d'essere vissuta.
Fino a scoprire, alla fine, che questa é conversione.
E che conversione fa rima con felicità.

Note:
(1) Grazie a mia moglie e all'amico Factum, che mi hanno aiutato a vincere la pigrizia e mi hanno costretto a meditare questo passo di Benedetto XVI:
"33. In modo molto bello Agostino ha illustrato l'intima relazione tra preghiera e speranza in una omelia sulla Prima Lettera di Giovanni. Egli definisce la preghiera come un esercizio del desiderio. L'uomo è stato creato per una realtà grande – per Dio stesso, per essere riempito da Lui. Ma il suo cuore è troppo stretto per la grande realtà che gli è assegnata. Deve essere allargato. « Rinviando [il suo dono], Dio allarga il nostro desiderio; mediante il desiderio allarga l'animo e dilatandolo lo rende più capace [di accogliere Lui stesso] ». Agostino rimanda a san Paolo che dice di sé di vivere proteso verso le cose che devono venire (cfr Fil 3,13). Poi usa un'immagine molto bella per descrivere questo processo di allargamento e di preparazione del cuore umano. « Supponi che Dio ti voglia riempire di miele [simbolo della tenerezza di Dio e della sua bontà]. Se tu, però, sei pieno di aceto, dove metterai il miele? » Il vaso, cioè il cuore, deve prima essere allargato e poi pulito: liberato dall'aceto e dal suo sapore. Ciò richiede lavoro, costa dolore, ma solo così si realizza l'adattamento a ciò a cui siamo destinati."