Monday, March 26, 2007

BELLEZZA


"Siamo certi che, in questo momento di confusione che il mondo sta vivendo, il cuore dell'uomo, pur ferito, resta capace di riconoscere la verità e la bellezza, se la trova sulla strada della vita.
Noi desideriamo vivere la novità che ci é capitata in tutte le situazioni e gli ambienti dove si svolge la nostra esistenza, confidando di poter testimoniare nella nostra piccolezza tutta la bellezza che ha invaso la nostra vita, in modo tale che possa essere incontrata"

(don Julian Carron, Roma, piazza San Pietro, 24 marzo 2007,
udienza con Benedetto XVI, in occasione del XXV anniversario del riconoscimento pontificio della Fraternità di Comunione e Liberazione)

Bellezza é vedere il sorriso di un papa, che si prende la pioggia e la chiama benedizione.
E, parlando, ricorda un amico, la cui casa era "povera di pane ma ricca di musica".
E' scorgere il sorriso di Carron che dalla bellezza fu conquistato un giorno e, forse più di chiunque altro, la comprese sino in fondo, sì da guidare oggi un popolo che non si stanca di scoprirla in un cammino.
Bellezza é il volto di Rose di Kampala, di Sako del Giappone, i tratti seri di un Cesana, lo sguardo commosso di un Vittadini.
Ognuno in fila, uno per volta ed alla fine, pochi secondi davanti al papa, ciascuno con qualcosa da dire ad un amico, un pezzo di vita da portare.
Bellezza é tanta gente, il colpo d'occhio di un'enorme famiglia, senza pretese, ma con grandi ambizioni, perché la bellezza l'ha scoperta donata da un Altro.

E' stato bello vedervi, anche per chi come me non c'era, ma era presente col cuore.
Qualche ora di bellezza, nella piazza più bella del mondo.
Mondo che di bellezza ha bisogno davvero,
oggi più che mai.

Friday, March 23, 2007

WHEN HE RETURNS

Un altro video dal concerto del Madison Square Garden del 1992, in attesa dell'imminente ritorno di Dylan in Europa.

Questo é il gran finale, una "My Back Pages" con gli amici Roger McGuinn, Tom Petty, Neil Young, Eric Clapton e George Harrison, a dividere il microfono con Bob.
Assoli chitarristici di Eric Clapton (impeccabile) e Neil Young (devastante).

We looove you Bob !!!

Thursday, March 22, 2007

PROUD MARY


16 ottobre 1992, Madison Square Garden, New York.
Il meglio del rock si é dato appuntamento per celebrare il trentesimo anniversario dall'uscita del primo disco di Bob Dylan.
Una galassia di stelle, pronte a dar vita ad un concerto che si rivelerà straordinario, ognuno sul palco con versioni personali delle canzoni del cantautore americano.
Dylan, visibilmente imbarazzato ed apparentemente inadeguato come solo lui sa essere in simili circostanze, entrerà in scena alla fine, chitarra acustica ed armonica, a cambiare per l'ennesima volta le carte in tavola, attaccando con "Song To Woody", scritta nel lontano 1962 per Woody Guthrie, il suo primo grande maestro.
In un susseguirsi di cantanti e presentatori d'eccezione (Dylan stesso viene introdotto da un'emozionatissimo George Harrison), il monumento della musica country Johnny Cash, presenta ad un certo punto un trio di vivaci e belle ragazze: Shawn Colvin, la figlia Rosanne Cash, e Mary Chapin Carpenter.
Le tre daranno vita ad una brillante e rivitalizzata versione di "You Ain't Goin' Nowhere", canzone tratta dai mitici "Basement Tapes", i nastri della cantina, registrati da Dylan nel 1967 a Woodstock, insieme ai membri di The Band, in un clima d'irripetibile spensieratezza ed allegria, lontano dai clamori del palco e dallo stress del music business.
Quando le ragazze salgono sul palco non tutti le conoscono così bene, anche se Mary Chapin Carpenter si é già fatta apprezzare con ottimi album come "Shooting Straight In The dark" e "Come On Come On". La versione della canzone di Bob comunque é splendida, con la solista di G.E. Smith - uno dei più grandi chitarristi in circolazione - ad impreziosire le ottime performances vocali delle tre.

Col tempo Mary Chapin si é liberata dall'etichetta di nuova promessa della musica country, per entrare di diritto nell'élite del cantautorato femminile americano.
Una voce splendida, radici ben piantate nella tradizione americana ed una musicalità di prim'ordine.
Mi ritrovo così, a quindici anni di distanza dal concerto di quella sera, ad ascoltare il suo ultimo lavoro.
"The Calling" é di una sonorità avvolgente, rock ballads per lo più, impreziosite dai ricami pianistici dell'amico musicista e produttore Matt Rollings.
Così, quando le note di "Houston" escono dal cd della mia auto, basta un po' di fantasia e il traffico cittadino svanisce, per far posto all'orizzonte senza fine di una freeway che scorre veloce e serena verso un tramonto rosso fuoco.
Non é solo musica, però. In "Houston", ad esempio, vi é tutta la capacità descrittiva nel dipingere la desolazione del dopo Katrina e la disperazione di chi ha perso tutto dopo l'uragano di New Orleans; in altri punti del disco si trova poi l'impegno sociale, e la precisa presa di posizione - come in "Why Shouldnt We" - nei confronti dell'amministrazione Bush.
Grande musica, insomma, unita a contenuti coraggiosi e per nulla scontati.
Un altro bel disco uscito quest'anno, per chi non si nutre di sole compilation fuoriuscite dalle nostrane radio nazionali.

"The Calling", the new Mary Chapin Carpenter's album is out.
For peaceful, dreaming, still fighting souls.

Saturday, March 17, 2007

RICORDARE NASSIRIYA


Nel desolante panorama del palinsesto televisivo italiano le fictions hanno contribuito non poco ad abbassare il livello qualitativo complessivo.
Ma, tutto sommato, c'é fiction e fiction e a me quella su Nassiriya della RAI non é affatto dispiaciuta.
Certo il rischio di assistere alla solita miscela di effetti speciali, malinconia ed atmosfere sdolcinate esiste sempre, ma non mi pare che questo fosse il risultato complessivo dello sceneggiato.
Lo stesso sottotitolo "per non dimenticare" sposta l'attenzione su altro, la comune assuefazione a notizie riguardanti camion imbottiti di tritolo che quotidianamente spazzano via esistenze umane. A volte tutto questo scompare anche dalle prime pagine dei giornali, relegato com'é ormai in spazi assai poco frequentati della nostra attenzione e dalla memoria. I fatti di guerra continui del nostro pianeta non fanno parte del consueto argomentare, in qualche modo non ci riguardano più; davanti alle macchinette del caffé c'é più spazio per l'ultima partita dell'Inter che per fatti di cronaca di cui nessuno vuole più parlare.
E' anche normale che sia così, in fondo, bisogna pur sopravvivere e allora é inutile dialogare di massimi sistemi, anche perché certe lezioni - mi viene in mente quel "mai più la guerra !" di Giovanni Paolo II - l'uomo sembra davvero non impararle mai.

Lo sceneggiato su Nassiriya, comunque, mi ha fatto riflettere e, soprattutto, ricordare.
Ho ripensato a quelle parole di Margherita, vedova del brigadiere Giuseppe Coletta, ripresa, all'indomani dell'uccisione, dalle telecamere dei telegiornali, con la croce di Cristo in mano, che prende la Bibbia, dicendo "qui c'é tutta la nostra vita", e legge quel brano di Matteo:
"Avete inteso che fu detto: amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico, ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori, perché siate figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il sole sopra i malvagi e sopra i buoni e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti" (1)



Fecero scalpore quelle parole e suscitarono un pensiero di Don Giussani, affranto, appassionato e pieno di speranza.
Anch'esso passò dai telegiornali e rimase nel cuore di molti, così come riaffiora nella mia mente adesso, dopo le immagini dello sceneggiato televisivo:

Che orrore!
Che vergogna!
«Né il sol più ti rallegra
Né ti risveglia amor».
Il Pianto antico di Carducci custodisce nel cuore della nostra storia quel mistero per cui Dante Alighieri prega la Madonna perché una ricchezza di umanità nuova affermi la vittoria del bene attraverso il suo dolore di sposa e di madre:
«In te misericordia, in te pietate,
in te magnificenza, in te s’aduna
quantunque in creatura è di bontate».

Così in noi diventa grande l’urto del cuore per il giudizio della signora, moglie del brigadiere Coletta, che ha parlato davanti alle telecamere del telegiornale.
«In te misericordia», perché l’uomo cade senza conoscere il dove, il come e il quando.
«In te pietate», perché l’uomo è debole, contraddittorio e fragile fino alla morte.
«In te magnificenza» è il comunicarsi di una forza di vittoria come luce finale.
Bontà è il motivo di azione per l’uomo.

Quanto canto popolare potrebbe risorgere, se una educazione del cuore della gente diventasse orizzonte di azione dell’Onu, invece che schermaglia di morte – favorita da quelli che dovrebbero farla tacere – tra musulmani ed eredi degli antichi popoli, ebrei o latini che siano. E questa sarebbe la vera ricchezza della vita di un popolo!
Se ci fosse una educazione del popolo, tutti starebbero meglio.
La paura o il disprezzo della Croce di Cristo non farà mai partecipare alla gioia di vivere all’interno di una festa popolare o di una espressione familiare.
La testimonianza di Dante Alighieri è rifiorita nel dolore della signora Coletta:
«In te misericordia, in te pietate,
in te magnificenza, in te s’aduna
quantunque in creatura è di bontate».

Ripenso alla vedova Coletta, ad una sua recente dichiarazione in cui affermava di non provare sensazione di giustizia nell'esecuzione di Saddam Hussein e diceva di pregare per lui.
Forse é tutto qui il segreto di una speranza di umanità rinnovata, proprio come in quella frase del Salmo : "chi semina nelle lacrime mieterà con giubilo" (2)

Note:
(1) Matteo cap.5: 43-45
(2) Salmo 126 (125,5)

Monday, March 12, 2007

ALCHIMIA


"Cosa resta di me
quando il giorno va via,
che cosa potrò dare io
con queste mani vuote ?
Cosa mai darà forza alla mia voce,
cosa mai darà fiato alla mia corsa,
se non quel po' d'amore
nato dalle mie lacrime"

( Genrosso - "Cosa Resta Di Me" - Work In Progress - 1998 )

Ho meditato a lungo sul mio nulla,
foglia sbattuta dal vento degli stati d'animo.
Un nulla di peccati e inadempienze
di tristezze e aridità.
Un tutto di pretese ed incombenze,
di voglia di successi e di disunità.

Ma quando all'improvviso,
per Tua grazia - cos'altro se no ? -
un atto d'amore frantuma tutto ciò,
allora, come per magia,
l'incantesimo si spezza,
e torna la gioia e l'allegria.

Che miracolo, Signore,
che sia questa la tua Alchimia ?

Tuesday, March 06, 2007

HEY JOE

"Scrivo canzoni di protesta, quindi sono un cantante folk.
Un cantante folk con la chitarra elettrica"
(Joe Strummer)

Si spengono i riflettori sul palco di Sanremo e, dopo tanta overdose di finta musica, il maggior stimolo é quello di pensare controcorrente.
Così mi viene in mente, guarda un po', Joe Strummer.
Cosa c'entra con Sanremo ? Niente, proprio niente, appunto.
Ed io non ho mai amato alla follia il tratto esasperatamente trasgressivo del movimento punk.
E allora ?
Ma i Clash sono i Clash. Un monumento della storia del rock.
E un monumento non si discute.
E poi quella trasgressione poteva dar fastidio, certamente, ma era pur sempre espressione di un disagio generazionale e quindi di sofferenza.
Sofferenza mai da disprezzare, anche quando prelude a condizioni non condivisibili, perché da qualsiasi parte la si guardi, ha sempre dentro un "di più", che é desiderio di un bene.

Joe Strummer si é sempre tenuto fuori dall'establishment, quello di cui il festival della canzone italiana é davvero troppo pieno: "(...) per 11 anni sono stato sdraiato su un'amaca a pensare. Quando sono ritornato in scena, il contrasto con il passato mi è apparso lampante. Il cambiamento più evidente è l'inseguimento senza scrupoli del denaro da parte delle case discografiche. La maggior parte di queste società sono controllate da gente che non ha il minimo interesse nei confronti della musica, gente a cui nemmeno piace la musica ! Vendono la musica, come vendessero auto, o vestiti, o polizze assicurative. Quindi sono molto contento di essere finito nelle mani della Hellcat, un'etichetta in cui lo staff è composto di veri appassionati. Sembrerebbe la cosa più logica del mondo che la gente che lavora nel campo della musica, abbia anche la passione, ma penso che ad un certo punto i vertici delle label abbiano sostituito la gente con la passione con i contabili o gli executive, per rendere il sistema più efficiente e fare più soldi, ma con il risultato finale di uccidere la musica. Penso che nel nuovo disco abbiamo cercato di esprimere questo concetto : "se sei in cerca di miele non uccidere tutte le api". Ho cercato di esprimere il concetto che stanno strangolando le galline dalle uova d'oro rendendole impotenti. La gente perderà interesse nella musica, se le case discografiche continuano a cercare di sopprimere il fenomeno per vendere più dischi. Io allora mi interesserò solo di cose underground o di etichette indipendenti. Non uscirà niente di buono dagli uomini di business , niente."
( da un'intervista del giugno 2001)


Penso a Joe e nella mia mente affiorano due istanti, fatti di note e di visioni.

La prima, 21 novembre 2005, Brixton Academy, Bob Dylan in concerto nella "sua" Londra, la seconda di cinque formidabili serate.
Sono le note iniziali dell'encore finale e dopo qualche attimo d'incertezza eccola lì: ma sì, Dylan si sta lanciando, per la prima volta nella sua carriera, in un'incredibile London Calling.
Canterà la prima strofa, nel catino in visibilio del pubblico londinese, per poi buttarsi a capofitto in Like A Rolling Stone, la più grande canzone rock di tutti i tempi.
Lo spirito dei Clash é tutto lì, intatto nella citazione del maestro, che lascerà il segno, ancora una volta e quando meno te l'aspetti, come solo lui sa fare.

La seconda é un'immagine fatta di emozioni: le sequenze di un video, un graffito urbano e tanti lumini accesi e le note struggenti della splendida versione che Joe fece di Redemption Song di Bob Marley, ultima canzone per l'ultimo disco prima di morire.
Non so se a Joe sarebbe piaciuto questo video, forse no, ma a me ha lasciato dentro qualcosa.
Mi piace pensare che quella redenzione, tanto desiderata, forse alla fine sia stata raggiunta.

So long Joe, may your song always be sung.

Thursday, March 01, 2007

1949


In un suo recente articolo (1), Antonio Spadaro illustra magistralmente il cammino interiore di Jack Kerouac, mettendone in luce, attraverso l'attenta lettura dei suoi diari, l'afflato cristiano che caratterizzò la sua esistenza.
E' un esercizio ardito porre in rilievo quest'aspetto in uno dei massimi esponenti della beat generation, sempre in bilico, nella sua vita e nelle sue opere ("On The Road" più di ogni altra) tra trasgressione morale e desiderio di redenzione, eppure la sua sensibilità cattolica emerge in più riprese.
Traendo spunto da questo bel saggio, mi soffermo su due passaggi dei diari dello scrittore, datati 1949.
Il 2 giugno Kerouac annota sul suo diario che la sera prima era andato a dormire leggendo il Nuovo Testamento: Gesù "é stato il primo, e forse l'ultimo, a riconoscere che affrontare il mistero ultimo della vita é l'unica attività importante a questo mondo"; parla di "resa dei conti" e ancora anela ad "un mondo che rispecchi fedelmente il Cristo. Il Re mite, che giunge in groppa a un Mulo".
Nell'agosto aggiunge che "la vita non é abbastanza" - "life is not enough" - ed aggiunge: "allora cosa voglio ? Voglio una decisione per l'eternità, qualcosa da scegliere e da cui non mi allontanerò mai, in nessuna oscura esistenza o qualunque altra cosa accada. E qual é questa decisione ? Un qualche tipo di febbre della comprensione, un'illuminazione, un amore che andrà oltre, trascenderà questa vita verso nuove esistenze, una visione seria, finale e immutabile dell'universo. Questo é ciò che intendo quando dico "voglio degli Occhi". (...) Perché dovrei volere tutto questo ? Perché qui sulla terra non c'é abbastanza da desiderare".


Nell'estate dello stesso anno, a migliaia di chilometri di distanza, Chiara Lubich, fondatrice del Movimento dei Focolari, e le sue prime compagne si trovavano a trascorrere un periodo di riposo nelle montagne del Trentino.
Sembrerebbe un po' azzardato accostare due situazioni che non appaiono avere alcun punto di contatto se non il nesso di tipo temporale. Eppure la correlazione tra di esse non appare poi così astrusa.
Ma facciamo un passo ancora più indietro, nel 1944, e lasciamo parlare Chiara (2) :
"Infuria la guerra anche a Trento. Rovine, macerie, morti.
Colle mie nuove compagne mi trovo un giorno in una cantina buia, con la candela accesa e il Vangelo in mano. Lo apro. V'é la preghiera di Gesù prima di morire: "Padre...tutti siano una cosa sola". E' un testo non facile per ragazze come noi, ma quelle parole sembrano illuminarsi ad una ad una e ci mettono in cuore la convinzione che per QUELLA pagina del Vangelo eravamo nate.
(...) I bombardamenti continuano e con essi scompaiono quelle cose o persone che formavano un po' l'ideale dei nostri giovani cuori. Una amava la casa: é stata sinistrata. Una seconda attendeva il matrimonio: il fidanzato non torna più dal fronte. Il mio ideale era lo studio: la guerra mi impedisce di frequentare l'università.
Ogni avvenimento ci tocca profondamente. La lezione che Dio ci offre nelle circostanze é chiara: tutto é vanità delle vanità. Tutto passa.
Contemporaneamente Dio mette nel mio cuore, per tutte, una domanda e con essa la risposta. Ma ci sarà un ideale che non muore, che nessuna bomba può far crollare, a cui dare tutte noi stessi ? "
E Chiara sembra quasi rispondere a quell'interrogativo di Kerouac :
"Sì Dio. Decidiamo di far di Dio l'ideale della nostra vita".


Ritroviamoci ora di nuovo in quell'estate del 1949, nelle montagne del Trentino.
Cito in questo caso Gérard Rossé (3), in un suo articolo del 2000 sulla rivista Nuova Umanità.
Racconta Rossé che "(...) Chiara Lubich, assieme ad altre ragazze, ha fatto l'esperienza di un'evangelizzazione della sua vita mediante la parola del Vangelo vissuta insieme; esse quindi sono state allenate alla vita di comunione. Nel luglio del 1949, questo gruppo di ragazze ed alcuni dei primi focolarini sono andati sulle Dolomiti per riposarsi. A loro si aggiunse, per qualche giorno, Igino Giordani, familiarmente chiamato Foco, uomo politico, giornalista e studioso cattolico di forte rilievo".
Quel profondo allenamento nella vita di comunione si rivelerà come preludio a quei giorni che furono particolarmente fecondi per Chiara in termini di ricchezza d'intuizioni spirituali.
Ve ne é una che riguarda un modo diverso di percorrere il cammino di santità, che rifugge da ogni tentativo d'individualismo, ma allo stesso tempo risponde a quell'esigenza di verità che Kerouac sembra volere a tutti i costi, quando parla di "qualcosa da scegliere da cui non mi allontanerò mai". Per Chiara la strada é il fratello che trova davanti a sé nell'attimo presente della vita di tutti i giorni e lo eleva, senza incertezze, a vero e proprio mediatore di Dio :
"Ho sentito che io sono stata creata in dono a chi mi sta vicino e chi mi sta vicino é stato creato in dono per me. Come il Padre nella Trinità é tutto per il Figlio ed il Figlio é tutto per il Padre".
Ma c'é di più, perché questo approccio genera comunione : "Noi mettiamo come punto di partenza di amare Dio con tutto il cuore, tutta l'anima, tutte le forze e quindi il prossimo come se stessi, perciò incominciamo la nostra santificazione santificandoci con gli altri, in comunione col fratello, e non supponiamo nemmeno la possibilità di santificarci individualmente".
E' una via nuova nella Chiesa, ora indicata anche nella Novo Millennio Ineunte di Giovanni Paolo II, che parla di spiritualità di comunione : "fare della Chiesa la casa e la scuola della comunione: ecco la grande sfida che ci sta davanti nel millennio che inizia, se vogliamo essere fedeli al disegno di Dio e rispondere anche alle attese profonde del mondo". (4)
E' una strada che si percepisce essere entusiasmante, perché capace di dare il centuplo sotto forma di felicità piena, già durante il cammino terreno ed é ancora Chiara a percepirne il fascino, quando afferma, sempre in quel periodo : "Chi entra nella via dell'unità entra direttamente nella via unitiva (...) Chi entra nella via dell'unità non sale un monte con fatica, ma con una violenza iniziale e totale che comporta la morte totale dell'io, si mette al vertice della montagna".


L'accostamento tra l'esperienza interiore di Jack Kerouac, come descritta nei suoi diari e quella spirituale ed esistenziale di Chiara Lubich e delle sue prime compagne, sembra - ed effettivamente lo é, sostanzialmente - un po' una forzatura, sostenuta solo dal nesso temporale.
Tuttavia l'esperienza di Chiara - lo sperimentare nella semplicità della vita quotidiana la verità e la portata di quella frase di Gesù "dove due o più sono uniti nel mio nome, ivi sono io in mezzo a loro" (5) appare in fondo la risposta all'interrogativo più profondo dell'uomo moderno, che pur avendo la stessa esigenza di spiritualità di sempre é giunto a sperimentare l'individualismo e quindi la solitudine più estrema.
Kerouac sembra, nel suo desiderio cristiano, rappresentare questa esigenza nel dramma dell'abbandono: "Sono stanco, Dio. Non riesco a scorgere il tuo volto in questa storia".
Chiara, invece, indica la via più semplice, alla portata di tutti, rifuggendo ed ammonendo nello stesso tempo sul rischio che la solitudine porta con sé: "le anime(...) - sole - in buona fede cercano di arrivare a Dio senza il fratello (...) e trovarono la via scabrosisssima ed arrivarono - dopo tanto tempo - al vertice della montagna donde avrebbero dovuto partire".

Note:
(1) Antonio Spadaro - Il Dio di Jack Kerouac - La Civiltà Cattolica 2007 I 126-139. Quaderno 3758.
(2) Chiara Lubich, discorso in occasione del XIX Congresso Eucaristico Nazionale, Pescara, 15 settembre 1977.
(3) Gérard Rossé - Il "carisma dell'unità" alla luce dell'esperienza mistica di Chiara Lubich - Nuova Umanità XXII (2000/1) 127, 21-34

(4) Giovanni Paolo II - Novo Millennio Ineunte , lettera apostolica, 6 gennaio 2001
(5) Mt 17, 19-20