Thursday, December 28, 2006

HAPPY NEW YEAR


"Let us not wallow in the valley of despair, I say to you today, my friends, so even though we face the difficulties of today and tomorrow, I still have a dream. (...) I have a dream that one day on the red hills of Georgia, the sons of former slaves and the sons of former slave owners will be able to sit down together at the table of brotherhood. (...) I have a dream that one day every valley shall be exalted, and every hill and mountain shall be made low, the rough places will be made plain, and the crooked places will be made straight; "and the glory of the Lord shall be revealed and all flesh shall see it together"

"Oggi vi dico, amici, non indugiamo nella valle della disperazione, anche di fronte alle difficoltà dell'oggi e di domani, ho ancora un sogno. (...) Ho un sogno, che un giorno, sulle rosse colline della Georgia, i figli di ex schiavi e i figli di ex proprietari di schiavi riusciranno a sedersi insieme al tavolo della fratellanza.(...) Ho un sogno, che un giorno ogni valle sia colmata, e ogni monte e colle siano abbassati, i luoghi tortuosi vengano resi piani e i luoghi curvi raddrizzati. "Allora la gloria del Signore sarà rivelata ed ogni carne la vedrà".

Martin Luther King, Washington Rights March, August 28th, 1963

Wednesday, December 27, 2006

ALBUM OF THE YEAR


JERRY LEE LEWIS
"LAST MAN STANDING" (2006)

The "Killer" is back.
Here's the quintessence of rock'n'roll with blues and country contaminations, in the form of duets with music stars as Springsteen, Fogerty, Neil Young, Little Richard, Willie Nelson, Kristofferson and many others.

An absolute masterpiece from a real genius.
Elvis's gone, Johnny Cash and Carl Perkins too, but Jerry Lee is still here, the "last man standing" .
As Bob Dylan would say "he was so older then, he's younger than that now".
The album of the year !

P.S. If you want to learn more about this, read through Paolo Vites' excellent review (see the link: "Gamblin' Ramblin')

Wednesday, December 20, 2006

BUON NATALE


I dirigenti di IKEA e RINASCENTE hanno pensato bene di togliere i presepi dagli oggetti in vendita sugli scaffali dei loro negozi.
Pare che non sia conveniente dare ospitalità a Gesù, proprio come duemila anni fa.
Peccato, speriamo che invece per molti le cose non stiano affatto così.
Come per Don Camillo e Peppone, capaci ancora di uno sguardo fatto di stupore.....

"....oramai il Bambinello era finito e, fresco di colore e così rosa e chiaro, pareva che brillasse in mezzo alla enorme mano scura di Peppone.
Peppone lo guardò e gli parve di sentir sulla palma il tepore di quel piccolo corpo. E dimenticò la galera.
Depose con delicatezza il Bambinello rosa sulla tavola e don Camillo gli mise vicino la Madonna.
"Il mio bambino sta imparando la poesia di Natale" annunciò con fierezza Peppone. "Sento che tutte le sere sua madre gliela ripassa prima che si addormenti. E' un fenomeno".
"Lo so" ammise don Camillo. "Anche la poesia per il Vescovo l'aveva imparata a meraviglia".
Peppone si irrigidì.
"Quella é stata una delle vostre più grosse mascalzonate !" esclamò. "Quella me la dovete pagare".
"A pagare e a morire si fa sempre a tempo" ribatté don Camillo.
Poi, vicino alla Madonna curva sul Bambinello, pose la statuetta del somarello.
"Questo é il figlio di Peppone, questa la moglie di Peppone e questo Peppone" disse don Camillo toccando per ultimo il somarello.
"E questo é don Camillo !" esclamò Peppone prendendo la statuetta del bue e ponendola vicino al gruppo.
"Bah ! Fra bestie ci si comprende sempre" concluse don Camillo.
Uscendo, Peppone si ritrovò nella cupa notte padana, ma oramai era tranquillissimo perché sentiva ancora nel cavo della mano il tepore del Bambinello rosa.
Poi udì risuonarsi all'orecchio le parole della poesia, che oramai sapeva a memoria.
"Quando, la sera della Vigilia, me la dirà, sarà una cosa magnifica !" si rallegrò. "Anche quando comanderà la democrazia proletaria, le poesie bisognerà lasciarle stare. Anzi, renderle obbligatorie !".

Il fiume correva placido e lento, lì a due passi, sotto l'argine, ed era anch'esso una poesia: una poesia cominciata quando era cominciato il mondo e che ancora continuava. E per arrotondare e levigare il più piccolo dei miliardi di sassi in fondo all'acqua, c'eran voluti mille anni.
E soltanto fra venti generazioni l'acqua avrà levigato un nuovo sassetto.
E fra mille anni la gente correrà a seimila chilometri l'ora su macchine a razzo superatomico per fare cosa ?
Per arrivare in fondo all'anno e rimanere a bocca aperta davanti allo stesso Bambinello di gesso che, una di queste sere, il compagno Peppone ha ripitturato col pennellino."

(Giovannino Guareschi)

Saturday, December 16, 2006

NON SOLO WELBY


di Mario Melazzini
primario Day-Hospital oncologico IRCCS S.Maugeri di Pavia
Presidente nazionale AISLA (associazione italiana sclerosi laterale amiotrofica)

Da quasi quattro anni sono malato di sclerosi laterale amiotrofica, malattia neurodegenerativa che porta a morte i motoneuroni, cellule nervose della corteccia motoria cerebrale, del tronco encefalico e del midollo spinale, portando alla paralisi progressiva della muscolatura volontaria,sino all’arresto respiratorio. Nonostante sia costretto sulla sedia a rotelle, possa solo muovere due dita della mano dx, alimentato artificialmente per via enterale tramite PEG durante la notte, supportato dalla ventilazione non invasiva notturna e parzialmente durante la giornata, totalmente dipendente dagli altri, apprezzo sempre di più quanto sia bello vivere anche in queste condizioni,con dignità e buona qualità di vita e sentirmi ancora utile, prima di tutto a me stesso,ma anche agli altri.Sono inoltre fortunato, in quanto pur la malattia così devastante, lascia totalmente integre le funzioni cognitive:e questo è il valore aggiunto,basta usarlo nel modo giusto.Tutto ciò mi permette di continuare a fare il medico,anzi essere passato dall’altra parte,mi permette di lavorare ancor meglio,con una maggiore attenzione verso i bisogni dei miei pazienti. Ma anche a battermi per la tutela della vita in ogni sua fase: dall’inizio alla fine.
Al di là delle mie convinzioni personali, per altro razionalmente motivate, pur avendo il massimo rispetto delle considerazioni espresse a più riprese dal signor Welby, frutto di evidente sofferenza e di giustificato senso dell’abbandono della vita causato dalla patologia da cui egli è colpito, mi amareggia vedere che si investe moltissimo, in denaro, impegno politico, comunicazione mass-mediatica, per iniziative che vanno in una direzione monotematica incentrata unicamente sul diritto a morire senza quasi mai prendere invece in considerazione le ragioni di chi, pur in condizioni clinico-fisiche,a volte anche peggiori di quelle in cui attualmente si trova Welby, sceglie comunque di continuare a vivere. Posso testimoniare che moltissimi malati che si trovano in condizioni peggiori delle mie, ventilati meccanicamente 24 su 24, alimentati artificialmente per via entrale,con paralisi completa,con unico movimento residuo a carico dei globi oculari,non chiedono che di poter continuare a vivere, e di poterlo fare con dignità. Dovrebbero essere ascoltate con una attenzione pari a quella riservata al “caso Welby” anche le voci dei malati che non misconoscono l’amore per il dono della vita, pur vissuta nella sofferenza e tramite supporti tecnici quali la ventilazione meccanica e/o alimentazione artificiale, tenendo nel contempo in adeguata considerazione le reali condizioni in cui le persone con patologie gravi e le loro famiglie vivono.
Un esempio dolorosamente vistoso di questa contraddizione si è avuto lo scorso 18 settembre a Roma, in piazza Bocca della Verità. Mentre Piergiorgio Welby riceveva poco tempo dopo dalla più alta autorità dello Stato pubblica risposta alla sua richiesta di sospensione delle cure, rimaneva invece inevasa la silenziosa protesta di un gruppo di malati di sclerosi laterale amiotrofica provenienti da tutta Italia. Questi malati chiedevano più assistenza, più tutela della dignità dei pazienti, anche più ricerca vera. Tra di loro, c’erano molte persone in carrozzina, molte ventilate artificialmente, alcune tracheotomizzate; tutte in uno stadio avanzato della malattia ma con la stessa aspirazione: vivere, non morire. Anzi quasi contemporaneamente un mio compagno di malattia, in condizioni di malattia avanzatissima, inviava una missiva al capo dello Stato in cui chiedeva un supporto per poter continuare a vivere. Nessuna risposta.
Ho potuto constatare che, a livello politico e mediatico, chi vuole morire fa notizia, mentre non fa notizia chi – magari trovandosi in identiche o anche peggiori condizioni –viene volutamente trascurato.
Ma queste delusioni non mi abbattono. Hanno invece rafforzato in me la voglia di lottare per tutti coloro che, riuscendo magari a muovere solo gli occhi, vorrebbero avere un computer come quello di Welby per poter parlare. Parlare non di morte, ma di vita. Far sentire le ragionevoli ragioni di chi, nel rispetto di ogni situazione personale, ritiene tuttavia profondamente ingiusta ogni azione che miri attivamente a far morire il paziente.Ciò che manca è una reale presa in carico del malato,la corretta informazione sulla malattia e sulle sue problematiche, la comunicazione personalizzata con la condivisione familiare per poter “spianare” il percorso della consapevolezza per poter facilitare ed applicare concretamente le decisioni condivise durante la progressione della malattia. Non si può chiedere a nessuno di uccidere, di ucciderci. Una civiltà non si può costruire su un simile falso presupposto. Perché l’amore vero non uccide e non chiede di morire.
E’ necessario aprire una concreta discussione su che cosa si stia facendo per evitare l’emarginazione delle persone con gravi patologie invalidanti e su quanto realmente, al momento attuale, si sta investendo nel percorso medico, di continuità assistenziale domiciliare e di cultura della salute e delle problematiche legate alle patologie disabilitanti e alla disabilità in senso lato. chiedendosi con molta sincerità se proprio dalla mancanza sempre più evidente di assistenza domiciliare qualificata, supporto adeguato alla famiglia, reti di servizi sociali e sanitari organizzati,
solidarietà, coinvolgimento e sensibilità da parte dell’opinione pubblica scaturiscano quelle condizioni di sofferenza e di abbandono a causa delle quali alcuni malati chiedono di porre fine alla propria vita.
La vita è un dono e come dice la Senatrice Rita Levi di Montalcini:” Si deve valere sino al minuto in cui si muore e godere ogni minuto del miracolo di essere vivi”.

(tratto dal sito di Medicina e Persona)

Wednesday, December 13, 2006

CHI NON HA TEMPO, SE LO CERCHI !


Un amico che, facendo della fraternità la categoria principale del proprio agire in ambito politico e che, col suo vivere, é stato un maestro in ogni istante, disse una volta una frase che mi rimase alquanto impressa: "Diciamo sempre che non abbiamo tempo. Uno dei primi propositi dovrebbe proprio essere questo: chi non ha tempo, se lo cerchi ! Per dare peso ai rapporti, per dialogare, per recuperare il valore delle piccole cose, se vogliamo essere pronti a fare le grandi".

Ricordo anni fa, quando un famoso spot recitava "contro il logorio della vita moderna", ed erano tempi - a pensarci bene - che questo logorio forse non lo conoscevamo ancora.
Allora in certi momenti, quando la fatica si sente davvero e il tempo sembra mancare sul serio, mi vengono in mente quelle parole di Domenico e queste altre, di Chiara Lubich, da cui lui e molti altri erano e sono costantemente ispirati:
"Quando si accavallano problemi nella tua mente, piglia nelle mani il problema chiave - l'Amore - e sciogli tutto in esso. Verrà l'intimità profonda con Gesù; le tue relazioni con Lui saranno vive e gioiose. Accetta tutto dalla vita, però dopo che hai dato ad essa tutto te stesso".

Friday, December 08, 2006

IN MEMORIA DI MATTHEW


Ebola é uno strano virus, bizzarro e terribile allo stesso tempo.
Come il più temibile dei guerrieri di un tempo, compare all’improvviso in luoghi inattesi, distrugge quasi tutto ciò che incontra ed altrettanto in fretta scompare, lasciando dietro a sé sangue, lacrime e desolazione.
E’ una malattia quasi sempre letale, altamente contagiosa e impietosa nelle sue manifestazioni cliniche: una febbre emorragica che non risparmia alcun distretto dell’organismo.
A tutt’oggi é un male incurabile e difficilmente troverà mai qualcuno, industria farmaceutica o istituto di ricerca, che la consideri un grosso affare commerciale in cui valga la pena d’investire.
Troppo pochi, in fondo, i morti e troppo poveri e remoti i luoghi in cui é solito colpire.

Quando Ebola arriva in Uganda, nell’autunno del 2000, trova ad accoglierlo anche un’istituzione tra le più luminose di tutto il continente africano: il St. Mary’s Lacor Hospital, fondato dai coniugi Lucille e Piero Corti.
Quando il virus giunge lì trova ad attenderlo Matthew Lukwiya, un giovane e brillante medico ugandese che Piero Corti ha voluto alla guida del suo ospedale. Dotato di grandi capacità professionali, egli é tornato tra la sua gente dopo gli studi in Inghilterra, per servirla in spirito di amore ed umiltà, rinunciando ad una carriera in occidente che certamente non l’avrebbe privato di soddisfazioni.
Matthew riconosce subito, sin dalle prime segnalazioni di alcune morti sospette nel suo distretto, la possibilità che il terribile virus abbia di nuovo fatto capolino in terra d’Africa e giunge rapidamente alla diagnosi, avvalendosi di alcune strutture specializzate in indagini virologiche del Sud Africa. La notizia giunge rapidamente anche al prestigioso Center of Communicable Diseases (CDC) di Atlanta, massimo organo scientifico nel campo delle malattie infettive, che manderà una propria delegazione di studio e supporto nel giro di poco tempo.

Il personale dell’ospedale affronta l’emergenza medica con una dedizione mai vista.
Per curare il male non c’é terapia ma qui si assiste al “prendersi cura” degli ammalati ; sembra una banalità trattandosi di operatori sanitari, eppure c’é dell’eroico in tutto questo: quando Ebola si affaccia su qualche finestra del mondo suscita solo terrore e fuga ed anche questa reazione lo distingue tragicamente da altre malattie.
L’operato del personale in quelle settimane sarà memorabile. Il St.Mary Lacor pagherà la propria moneta con la perdita di tante vite, ma otterrà alla fine il risultato insperato di aver contenuto la mortalità globale in numeri che, seppur spaventosi, saranno decisamente ridotti rispetto alle precedenti epidemie.
Eppure il miracolo del Lacor Hospital é soprattutto la drammatica risposta positiva ad un interrogativo fondamentale : vale la pena ed é in grado un medico, un infermiere, di rischiare e giungere a dare la vita semplicemente per aiutare un altro uomo a soffrire e morire con dignità ?


Gaetano é un amico ed un collega e viene chiamato ai primi di dicembre per assistere il dottor Matthew. Quell’uomo, messosi in prima linea, ha finito per contrarre la malattia ed ora c’é bisogno di un anestesista esperto per effettuare un tentativo disperato, mai messo in pratica sino ad allora: provare ad intubare e ventilare meccanicamente un paziente affetto da insufficienza respiratoria nel contesto della malattia emorragica. Gaetano giungerà in extremis, a compiere un atto reso ormai inutile dallo stadio della malattia. Assisterà Matthew fino all’ultimo e racconterà poi a tanti l’eccezionalità di quei momenti:
Rientrai ad Hoima il 5 dicembre in tarda serata; avevo assistito il dr. Matthew Lukwiya fino alla sua morte, avvenuta la notte precedente, e quindi alla sua tristissima sepoltura all’interno dell’ospedale. Mentre mi avvicinavo a casa scorrevano nella memoria tutti i fatti e gli incontri vissuti; mi rendevo conto che nella tragedia che aveva colpito l’ospedale di Lacor c’era qualcosa di grande, un avvenimento che stava cambiando radicalmente molte persone, in particolare quelli che avevano offerto la vita fino al sacrificio e quelli che, mossi da una gratuità esemplare, continuavano il loro lavoro accanto ai malati. E’ proprio vero che Dio, nel Suo mistero, opera il miracolo del cambiamento ”.

Poco prima di morire, Matthew aveva pregato: “O mio Dio, mio Dio, penso proprio che dovrò morire sulla breccia nell’esercizio del mio dovere, ma voglio essere l’ultimo”.
Sabato 9 dicembre 2000 é il primo giorno senza morti di Ebola in Uganda.
I malati sopravvissuti nei reparti cominciano a riprendersi.
Le parole di Matthew sono state profetiche, non vi saranno più vite umane perdute.
Ebola si ritira, l’avventura d’amore al Lacor Hospital prosegue.

Personale sanitario morto per Ebola negli ospedali di Lacor e Gulu:
Dott. Matthew Lukwiya, 43 anni, sovrintendente medico
Ajok Christine, 20 anni, studentessa
Ayella Daniel, 24 anni, studentessa
Aol Monika, 20 anni, studentessa
Ongebo Hellen, 34 anni, studentessa
Suor Pierina Asenzo, 40 anni, studentessa paramedico
Ajok Simon Victor, 32 anni, caposala
Kia Florence, 27 anni, infermiera
Akullo Grace, 27 anni, infermiera,
Oto Maburu, infermiera
Auma Mary Immaculate, 25 anni, infermiera
Lanyero Christine, 31 anni, ausiliaria
Odota Margaret, 42 anni, ausiliaria
Aryemo Santina, 26 anni, ausiliara

Letture consigliate:
Alberto Reggiori – Dottore é finito il diesel – ed. Marietti 1820
Elio Croce – Più forte di Ebola – ed. Ares

Monday, December 04, 2006

WELCOME BACK, GREEN ON RED !


This is my family on stage” : it’s Dan Stuart speaking, while introducing the band in the concert at the London Astoria, last 16th January.
If you loved the so-called Paisley Underground (though Dan would disagree about this label) and the “Americana” category of music, here’s a reason to be happy this year : the reunion of Green On Red.
Dan, talking in an interview, said once about himself : “If you live in New York City and are driving here in the west, you can see a sign like “Next gas station 100 miles” and think: “what the hell can I stay here ?” If you are from Tucson, Arizona, surely you relax and feel at home”.
Well, I think this is the sound of the band, pure “desert rock”, country and psychedelic music mixed together, a strange and explosive cocktail coming out by virtue of each member’s style: Dan Stuart’s lachrymose singing ( Neil Young revisited ?), Chuck Prophet’s ravaging guitar solos, Chris Cacavas’ mercury-like keyboards. You will find Jack Waterson too, playing a throbbing vital bass and here’s the whole original band, with the exception of drummer Alex MacNicol (who died in the meantime, his death maybe precipitating this reunion), Jim Bogios filling his place.
Last 16th January the band came back in London, to play the show that was cancelled exactly 19 years before, after Dan Stuart was declared insane while leaving the stage in Athens in a fit of spectacular crack-up. The set list was exactly the same they should play at the time and what a show it was. After London, Green on Red played a few shows this summer in Europe, always well received.
I do hope in a new album of the band now.
Meanwhile I’m still happy to be listening to their past discography.
If you have the time, try to do the same, you should not be disappointed.


GREEN ON RED DISCOGRAPHY
( 1 to 5 stars, subjective grading of course….)

“Two Bibles” (EP, 1981) (**)“Green On Red” (EP, 1982) (**)“Gravity Talks” (1983) (****)“Gas Food Lodging” (1985) (****)“No Free Lunch” (1985) (***)“The Killer Inside Me” (1987) (****)“Here Come The Snakes” (1989) (****)“This Time Around” (1989) (**)
"Live At The Town And Country Club" (1989) (***)
“Scapegoats” (1991) (***)“Too Much Fun” (1992) (**)

DANNY AND DUSTY (members of Green On Red, Dream Syndicate, Long Ryders) - “The Lost Weekend” (1985) (****)

Friday, December 01, 2006

THAT ALL MAY BE ONE



"E' stato un momento meraviglioso. Grazie Santità, si ricordi di noi"
"It was a wonderful moment. Thank You His Holiness, remember about us".
Istanbul's Mufti Mustafa Cagrici

"Lo Spirito Santo ci aiuterà a preparare il grande giorno del ristabilimento della piena unità, quando e come Dio vorrà. Allora potremo rallegrarci ed esultare veramente".
"The Holy Spirit will help us to prepare the great day of the recovery of deep unity, as and when God wills. Then we will really rejoice and exult".
Benedict XVI and Patriarch Bartholomew I

Tuesday, November 28, 2006

IL DIALOGO DELL'AMORE


Penso al viaggio del Papa in Turchia, l'ho in cuore, e mi viene in mente un amico.
Ulisse Caglioni era un sacerdote focolarino, partito da questa terra il 1° settembre del 2003.
Non era una di quelle amicizie fatte di occasioni frequenti, no tutt'altro.
Ma era una persona speciale, di quelle che incontri poche volte, lasciano un segno indelebile nel tuo cuore e tu sai che quel rapporto nulla e nessuno lo cancellerà più.
Ulisse aveva vissuto più di trent'anni in Algeria, un quotidiano semplice ma eroico, nelle cose di tutti i giorni e con quella solida tempra degna delle sue origini bergamasche.
Piccoli e grandi avvenimenti di tutti giorni, amare quello che ti sta di fronte nell'attimo presente, niente di più e niente di meno, ma alla fine della sua vita un seme che già aveva dato tanto frutto.

Poco prima della dipartita di Ulisse, così scrive Farouk, un suo amico musulmano, uno come tanti altri che lo aveva incontrato ed era rimasto conquistato:
"Carissimo Ulisse,
tu ci hai donato la tua vita,
tu ci hai donato la vita.
La tua vita intera é stata consacrata per testimoniare la presenza di Dio e del suo Amore.
Dopo la tua partenza per Roma, guardo intorno, in particolare a Tlemcen, e vedo le cose che tu hai costruito, piantato, fatto crescere; in più continuo a dirmi: Al di là di tutto, la cosa più bella che tu hai costruito é l'Ideale dell'Unità nella terra dell'Islam, nel cuore dei musulmani. Oggi quell'Ideale é nostro. Allora io comprendo in maniera certa e in concreto ciò che Chiara Lubich ha detto: "vi é una cosa che non verrà mai meno, é Dio". Oggi esiste una comunità, un popolo di Chiara in mezzo ai musulmani.
E' per tutto ciò che io ti ho sempre considerato come mio padre, come il padre fondatore. Tu hai donato il tuo amore a ciascuno, grandi e piccoli, in ogni momento. Tutti si ricordano di te; tutti vogliono vivere come tu hai vissuto, anche quando poteva essere pericoloso.
Mi ricordo ancora adesso quando tu mi hai detto: "tu non devi preoccuparti di fare tante cose, la cosa più importante é che tu devi agire dentro di te, vale a dire devi cambiare te stesso". Da allora sono passati degli anni, in me resta l'Ideale, e la mia vita é tesa verso di Lui. Prego perché la semente che é in me possa germogliare e generare altri semi tra i musulmani.
Io accolgo la tua offerta, mentre prego Dio di mantenermi fedele al suo amore perché l'avventura continui.
Prego Dio perché ti avvolga della sua Misericordia.
Restiamo uniti nella sua Misericordia.

Friday, November 24, 2006

OCCHI E STELLE


di Alberto Reggiori
" Di notte, quando attraversiamo quella fetta di buio che ci separa dalla casa dove dormiamo, e gli occhi, invece che investigare il terreno su cui poso i piedi, scoprono il cielo scintillante di stelle equatoriali che brulicano, formicolano e pulsano in quella pace immensa che la accoglie, ecco, allora é davvero difficile pensare che sotto questa volta ci sia un pezzo di terra bella come l'Uganda in una situazione così triste; tutto appare così poco significativo alla vista di quelle stelle ma nello stesso tempo tutto é così terribilmente serio, tragico, definitivo. Eppure questi brulicanti astri, questa tenebra misteriosa sono il vero punto da cui guardare tutto, anche le tragedie di questa terra, perché se non abbiamo un punto di vista diverso, distaccato, non capiamo cosa abbiamo davanti agli occhi. Se non ci stacchiamo da ciò a cui siamo avvinghiati, non riusciamo a vedere. Lo sguardo cade pesantemente ai nostri piedi e poche volte si alza alle stelle. E' un problema di stelle e di occhi, dunque, la vita.
(tratto da "Dottore, é finito il diesel. La vita quotidiana di un medico in Uganda, fra ammalati. poveri e guerriglia", di Alberto Reggiori, ed. Marietti)

Monday, November 20, 2006

MI SOVVIEN L'ETERNO


A volte mi torna in mente Leopardi.
Anni fa, al liceo, mi affascinò come nessun altro.
Sulle prime quel pessimismo debordante parve schiacciarmi, ma poi bastò poco per superare il disagio; mai nessuno era stato così capace di partire dal limite, da tutto ciò che sa di finitezza, di precarietà, per giungere al desiderio dell’eterno, “L’infinito ”, appunto.
Non mi sembrava di prender lucciole per lanterne nel cogliere in tutto questo una religiosità che mi affascinava, ma non era popolare – neppure allora – una piega interpretativa così.
Criticuccia di destra ” , ricordo, fu l’appellativo dato al mio modo di veder le cose dalla mia insegnante d’italiano ed io la contestai a suo tempo; ma ricordo quanto, in fondo, ci stimassimo a vicenda.
Non conoscevo Don Giussani, ma appresi più tardi della sua passione per il poeta e del suo autorevole pensiero nell’accostarne il desiderio del cuore al senso religioso dell’uomo. Appresi anche di come tutto questo non fosse stato esente da critiche, ma fui felice, comunque, di scoprire che quella che era stata una semplice sensazione di ragazzo, coinvolto a modo suo dalle liriche di un grande poeta, fosse qualcosa in più di una semplice questione d’impatto emotivo.

Oggi, ad anni di distanza e vedendo crescere i miei figli a vista d’occhio, mi domando spesso cosa voglia dire “educare” e mi tornano in mente quegli anni. Li confronto in qualche modo con questi, troppo colmi di disimpegno e di violenza, come testimoniano gli episodi di bullismo, sempre più presenti nelle prime pagine dei giornali.
Allora, spesso, ripenso a Don Giussani e quella sua frase all’indomani dell’assassinio dei nostri soldati a Nassyria: “se ci fosse un’educazione del popolo, tutti starebbero meglio ”.
Non so cosa voglia dire educare, guardo i miei figli e vado così spesso in crisi; ma spero di passargli in qualche modo un’esperienza : quella che parte dal limite, il mio, per cogliere la tensione all’infinito, al desiderio di un Altro.
Proprio come Leopardi, checché ne dicano i critici letterari.

Thursday, November 16, 2006

UNA CROSTA DA ROMPERE


Ci sono mattine in cui, al risveglio, mi ritrovo appesantito ancora dal negativo incontrato il giorno prima; giorni in cui il sorgere del sole, le ritrovate energie, non bastano a ricoprire di fascino l’irrompere di una nuova giornata, tutta da vivere con pienezza. So già che gioia ed allegria si mescoleranno inesorabilmente ad imprevisti scomodi e fastidiosi, a rabbie e paure, ad ostacoli in apparenza insormontabili. E mi ribello, incapace di riconoscere in quelle circostanze il Suo volto, quando, in un eccesso di follia d’amore, ha gridato anche Lui “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato ?”.
Allora, quando riesco, mi affido, e questa - invariabilmente - diventa la via d’uscita, capace, di dare la svolta alla mia giornata.
Perché “c’é una crosta da rompere”, ogni momento, come racconta Emilio Bonicelli, scrittore e giornalista del "Sole 24ore" in questo suo splendido libro:

Quando, avvolto nella coperta dorata, mi portavano lungo i corridoi dell’ospedale verso la dolorosa TBI, chiudevo gli occhi e desideravo di vedere il volto di Maria. Lo stesso volto del quadro che avevo lasciato nella mia camera. E invece di fronte a me compariva solo una crosta, come la pelle nera di un serpente. La luce stava dietro.
C’é una crosta da rompere. Da rompere ogni giorno. La crosta dell’egoismo e dell’invidia, la crosta della banalità e della meschinità, la crosta della violenza e della solitudine, la crosta della malattia e della morte. Ma la crosta é mescolata in modo profondo e umiliante alle nostre ossa e togliercela di dosso non ne siamo capaci. Noi desideriamo, cerchiamo, ci disperiamo, ma solo una grazia può squarciare quel velo. Solo lo stupore di fronte al mistero di Dio che viene a immischiarsi con noi e rende possibile una terra nuova.
La crosta non é scomparsa, ma un giorno, chiudendo gli occhi si é lacerata, come un’iniziale ferita, e da quel taglio scendeva la luce. La luce di Cristo, che gratuitamente si dona, che entra in noi e ci insegna ad amare. Nella carne, nella terra arata, nella collera, nella dimenticanza, nella selva che confonde la luce, nell’amicizia che sostiene. Ma, da questo grano della vita, a ogni istante possiamo alzare a lui lo sguardo, come mani levate, e la fede cambia la pioggia, cambia il dolore, cambia le ferite. Non più gelida notte, ma fervida attesa in cui, nella fraternità, si afferma la comunione. Luce del giorno che viene, per essere come lui nel suo amore. Sino a che la terra arata, il corpo segnato, le mani affaticate, le ginocchia infiacchite diventano culla di una gioia che nessuno può strappare. Culla di conversione.”

(tratto da “Ritorno alla vita. Il cammino di un uomo che lotta per vincere la leucemia”, di Emilio Bonicelli, ed. Jaca Book)

Tuesday, November 14, 2006

9 VOLT HEART


Sarà bello il crescere vertiginoso della tecnologia, ma francamente assistere allo svuotarsi dei negozi di dischi ed al crescere del numero di iPOD in circolazione, mi procura un po’ di tristezza.
Forse perché estrarre un cd dalla custodia (per non parlare di un bel vinile ...), tenere tra le mani la copertina, leggerne le note e i testi, scorrerne le immagini mentre ascolto la musica, per me significa qualcosa.
Davanti a un disco mi capita ancora di pensare al lavoro di un artista, a un progetto, a un’idea, al condividere un percorso.
Niente a che fare con un hit di successo, scaricabile mille volte come mp3, a riempire un disco fisso già stracolmo di cose che tra un po’ cancellerò.
Così finisco per stare coi vecchi eroi, come quel Dave Alvin che canta di una vecchia radio capace ancora di accendere emozioni....


NINE VOLT HEART
Dave Alvin/Rod Hodges


His mama said “Baby, wait for me in the car,”
And she went lookin’ for his daddy inside a bar
So he sat and let the radio take him far away
Listenin’ to XPRS and KRLA.
Plastic silver nine-volt heart
You click it on and let the music start
And the radio was his toy
The radio was his toy.
Well Rachel was twenty and he was seventeen years old
Sittin’ in a parked car on a country road
Runnin’ his fingers through her long black hair
And the Staples singin’ “Baby, I’ll take you there.”
Plastic silver nine volt heart
You click it on and let the music start
And the radio was his toy
The radio was his toy.
Doin’ the dishes long after midnight
Talkin’ about the evenin’ news with his wife
The baby wakes up and starts to cry
So they turn the radio on for his lullaby.
Plastic silver nine volt heart
You click it on and let the music start
Plastic silver nine volt heart
You click it on and let the music start
And the radio was his toy
The radio was his toy.

Sunday, November 12, 2006

MY HOMETOWN


Una personalità carismatica del nostro tempo, mutuando una frase di Santa Teresa del Bambin Gesù, disse ad un gruppo di persone un motto che mi é rimasto particolarmente impresso:
"Tu sai, mio Gesù, che, per amarti, non ho che adesso".
Quante volte la frenesia dei programmi e dei doveri della giornata, i problemi ed il mutare degli stati d'animo impediscono di cogliere la pienezza di ciò che ci accade nelle circostanze del momento presente ?
Talvolta però riesco a fermarmi, come quella mattina nella piazza della mia città...

Un giorno qualunque, in piazza del Duomo, con delle commissioni da sbrigare.
Il passo veloce, perché devo fare in fretta, come ogni milanese che si rispetti ….
Intorno a me tanta gente, facce d’ogni continente.
I peruviani col flauto di pan; più in là un giovane, jeans e chitarra acustica, il blues e il country nell’anima.
Poi il solito mimo, vestito da Belfagor, e l’uomo d’affari che passa veloce, schivando quattro giovani punk ( si chiamano ancora così ? ), vestiti in modo assurdo, che procedono in fila.
E ancora gente normale, un ubriaco, e un monsignore, con la tonaca nera, lunga fino a terra…
Il primo sguardo è divertito e rilassato allo stesso tempo.
Amo la mia città per tutto questo, per la sua varietà, per tutta la sua vita.
Poi un pensiero più profondo: TUTTI SONO CANDIDATI ALL’UNITA’.
Come li vedrà Dio ?
E allora il desiderio di fermarmi, di posare lo sguardo su questa folla frenetica, in cui si scorge anche tanta solitudine …
Cosa devo fare ?
Vivere l’attimo presente,
con ogni prossimo che incontro,
con tutto l’amore che posso.

“ SEI TU SIGNORE, L’UNICO MIO BENE “.

THE WOLVES ARE BACK



The wolves of the Barrio, Los Lobos, are back, with a new excellent album: “The Town And The City”. Anyway, if you have the time, draw out from the shelf an album they recorded more than twenty years ago, “By The Light Of The Moon”.
I love especially this one: it is called “Tears of God

When it's up to you
To figure out what's right and wrong
It's someone else's parade
And yours is an unhappy song
When it hurts so bad
And you feel that you can't go on
Each day go by too fast
And the nights are so very long
You'll find out true
What mother said to you
That tears of god will show you the way
The way to turn
When your only escape
Is a cheap nickel wine
And the peace you need in your heart
Is so very hard to find
It's a stubborn life we lead
And there's never no rest
Trouble's out there looking for you
Even when you try your best
Hide not your head
The way to turn
Hear what he once said
He'll show you the way
For there is a world for you and me
Where the blind too can see
Through the tears of god
The Son of the Maker said
This is my cross to bear
Taking off of our shoulders
Something we should have shared

Wednesday, November 08, 2006

HAPPY 60TH ANNIVERSARY, PETIT PRINCE !


"Good morning", said the little prince.
"Good morning", said the railway switchman.
"What do you do here ?" the little prince asked.
"I sort out travelers, in bundles of a thousand", said the switchman. "I send off the trains that carry them: now to the right, now to the left".
And a brilliantly lighted express train shook the switchman's cabin as it rushed by with a roar like thunder.
"The are in a great hurry", said the little prince. "What are they looking for?"
"Not even the locomotive engineer knows that", said the switchman.
And a second brilliantly lighted express thundered by, in the opposite direction.
"Are they coming back already?" demanded the little prince.
"These are not the same ones", said the switchman. "It is an exchange".
"Were they not satisfied where they were ?" asked the little prince.
"No one is satisfied where he is", said the switchman.
And they heard the roaring thunder of a third brilliantly lighted express.
"Are they pursuing the first travelers ?" demanded the little prince.
"They are pursuing nothing at all", said the switchman.
"They are asleep in there, or if they are not asleep, the are yawning. Only the children are flattening their noses against the windowpanes".
"Only the children know what they are looking for", said the little prince. "They waste their time over a rag doll and it becomes very important to them; and if anybody takes it away from them, they cry....".
"They are lucky", the switchman said.
(Antoine de Saint-Exupéry - Le Petit Prince)

Friday, November 03, 2006

SICUREZZA DI UNA SPERANZA


Il cuore pulsante della città é pochi passi là fuori.
Una Milano nervosa, sempre di fretta, schiava di efficientismo e desiderio di produttività ad ogni costo.
Ma dentro il muro di cinta del cimitero monumentale tutto questo - come é giusto che sia in un tal luogo - scompare.
Se ci si avventura qui é raro trovare gente numerosa, se non nel giorno dell'anno dedicato alla commemorazione dei defunti.
Qualche turista straniero, quello sì, perché questa é anche una splendida cornice d'arte, un luogo ricco di monumenti scolpiti da artisti illustri.
Ma poi, per il resto, solo tanta opulenza e silenzio, a far da contrasto col povero chiasso di fuori.
Eppure qui dentro c'é un posto diverso, quasi opposto a tutto questo ed é la tomba di monsignor Luigi Giussani.
Opposto perché, al contrario del resto, richiama alla vita.
Qui sì che puoi trovare gente di ogni tipo a qualsiasi ora, un lento ed incessante via vai di persone.
Uomini che vanno in ufficio, giovani studenti, donne con bambini, anziani pensionati.
Ognuno con qualcosa da raccontare, da offrire, da affidare.
Capita anche a me qualche volta di passare ed é sempre tempo speso bene.
Perché quel fiume di gente che incontri balza subito all'occhio ed allontana, come d'incanto, la sensazione di finitezza e di morte.
Come quel giorno che si avvicina a me un signore, capelli grigi e accento inglese.
"Chi é don Luici Ciussani ?" , mi chiede.
"E' il fondatore di Comunione e Liberazione", dico.
"Oh, beautiful !", mi risponde, con un bel sorriso.
Un luogo vivo, appunto.
Mi capita di guardare anche un po' più in là.
Trovo la lapide a ricordo dei caduti della campagna di Russia.
Migliaia e migliaia di morti, di reduci feriti e congelati, in quel tragico ripiegamento dal fronte del Don, così bene raccontato dalle pagine di Bedeschi e di Corti.
Poi, accanto, il ricordo dei morti di Nassyria e allora mi ritorna in mente Don Giussani, con quella sua frase all'indomani dell'uccisone : "Se ci fosse un'educazione del popolo, tutti starebbero meglio".
Già, perché non é così, perché quel grido di Giovanni Paolo II "mai più la guerra !" continua a rimanere inascoltato ?
Mi ritrovo lì, davanti alla tomba del Don Gius ed a quell'unica frase apposta : "Oh Madonna, tu sei la sicurezza della nostra speranza !".
I miei dubbi e le mie incertezze ritrovano una speranza, dentro una maternità.
Ora posso tornare là fuori.

Wednesday, November 01, 2006

OGNISSANTI


di Michele Zanzucchi
Va bene tutto; ma perché una ragazza apparentemente normale é riuscita a "scardinare le porte del cielo" in pochi mesi ? Come ha potuto rifiutare la morfina che i medici volevano somministrarle per lenire i dolori atroci delle metastasi ? Voleva avere ancora "qualche cosa da offrire"... Dove trovava la forza ? Un'esistenza - altrimenti archiviata con qualche lacrima, un trafiletto sul giornale locale e un coro di "povera ragazza, così giovane" - continua ad essere ricordata ed imitata. Insomma c'é la curiosità di capire come una ragazza abbia raggiunto in un niente, in pochi anni, vette di alta spiritualità.
Scrivo queste righe dinanzi a una delle sue ultime fotografie, un primissimo piano ripreso mentre giaceva ormai paralizzata nel letto della sua stanzetta di Sassello. Una peluria scura le ricopre il cuoio capelluto; non certo un taglio di capelli all'ultima moda, ma la testimonianza spudorata di una recente chemioterapia. Eppure i tratti del volto non sono quelli di un'ammalata in punto di morte, quanto di una ragazzina maturata in poco tempo. Sorride. Proprio così, sorride di un sorriso che tanti avevano amato. Con lei nella stanza, in quel momento, c'erano tre amici di Genova; avevano scambiato quattro chiacchiere con l'ammalata, avevano vissuto un altro di quei momenti di vangelo "in atto" che la ragazza prediligeva. "Momenti di unità", li chiamava.
Il cielo era sceso tra loro: quel sorriso lo testimonia. Ma soprattutto lo testimoniano quei due occhi grandi che non posso non fissare. Hanno un perché, sono sereni, sinceri. Sanno che "la medicina ha deposto le sue armi", ma anche che "tutto vince l'amore".
Ecco Chiara Badano, diciottenne. Anzi, Chiara Luce.
Come scrive l'Abbé Pierre: "I santi non si limitano a un catalogo, e noi ne incrociamo certamente tutti i giorni".
La giovane Badano era probabilmente una di questi.
(tratto da "Io ho tutto - i 18 anni di Chiara Luce", di Michele Zanzucchi, ed. Città Nuova)

Tuesday, October 31, 2006

HALLOWEEN


"I have my Bob Dylan mask on, I'm masquerading," Bob Dylan told the audience this way, in the Halloween Concert, in 1964 (1).

As years go by, maybe Dylan is still “masked” even if not “anonymous” at all, in spite of the title of one of his (poor) movies (2). Anyway, at the age of 65, the man is keeping on performing and producing new albums (3), careless of the criticism.

So, if you think he can still have something to give to your mind and soul, see you in the audience the next concert: maybe we will meet with our hair going grey, but you know what the man said once: “I was so much older than, I’m younger than that now”.

Notes:

(1) Bob Dylan, The Bootleg Series vol.6, Concert At Philarmonic Hall, Sony Music

(2) Masked And Anonymous”, directed by Larry Charles, with Bob Dylan, Jessica Lange, Penelope Cruz

(3) Listen to “Modern Times”, the new Bob Dylan album !

Sunday, October 29, 2006

PREVENIRE MEGLIO CHE CURARE ?


Lo si sente dire spesso.

Eppure molti studi scientifici riguardanti il rischio cardiovascolare hanno dimostrato il sostanziale fallimento dei programmi di prevenzione primaria (quella messa in atto prima che la malattia si sia resa manifesta) nei confronti di quelli di prevenzione secondaria (iniziata quando la malattia é già insorta).

Come dire che é sempre più facile chiudere la stalla quando i buoi sono scappati.

Sarà che forse l’impegno in un cammino, anche se fortemente motivato, ha bisogno della condivisione per avere successo ?
E’ un po’ quello che dice Giancarlo Cesana, docente di Medicina del Lavoro presso la facoltà di Medicina dell’ateneo di Milano:
L’errore formativo più grande é quello di ritenere che la coscienza individuale possa reggere indefinitamente grazie ad una coerenza ferrea a principi, che una volta acquisiti mai sono messi in discussione. Non si può essere veramente amici degli uomini se non si vive di amicizia. E l’amicizia non é altro che una correzione (che letteralmente significa “reggere insieme”) del cammino ideale e morale di ciascuno verso il compimento del proprio destino”.


Saturday, October 28, 2006

IL DIALOGO DELLA RAGIONE


Vent’anni esatti quest’oggi, da quell’intuizione di Giovanni Paolo II di radunare ad Assisi i leader cristiani e delle altre religioni, per pregare gli uni accanto agli altri.
Il dialogo interreligioso é avanzato in questi anni, nell’accresciuta consapevolezza di ciascuno delle radici e ragioni della propria fede e tanto più quanto ci si é sforzati di mettere in atto la famosa “regola d’oro”, comune a tutte le religioni e che recita "Non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te" o, in positivo, "Fai agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te" .
Uno di questi momenti di dialogo é accaduto in questi giorni a Milano, all’Università Cattolica di Milano, in occasione della presentazione della traduzione in lingua araba del più famoso libro di Don Giussani, “Il senso religioso”.
Chi ha assistito all’incontro, presenti don Julian Carron, attuale successore di Don Giussani alla guida del Movimento di Comunione e Liberazione, ed il professor Wa’il Farouk, docente di lingua e letteratura araba all’Università del Cairo, difficilmente lo scorderà.
Momenti di dialogo intenso, nel desiderio d’incontrare l’altro nella sua integralità.
Come quando Wa’il Farouk dice a tutti : “Sono qui stasera per fare il primo passo, per dire insieme a voi che la paura non deve impedirci di amare. Non abbandonate il coraggio dell’amore”.
Farouk risponde alla proposta che Carron cita come contenuto del libro, “occasione di scoperta dell’esperienza umana in tutta la sua ampiezza per le persone di culture e tradizioni diverse dalla nostra”.
Un momento di coraggio, di quel “coraggio di aprirsi all'ampiezza della ragione, non il rifiuto della sua grandezza”, citato da Papa Benedetto XVI a Ratisbona, preludio al vero dialogo delle culture e delle religioni

Friday, October 27, 2006

IT WAS FIFTY YEARS AGO


It was more than forty years ago when Bob Dylan sang “How many years can some people exist, before they’re allowed to be free ?”.

It was exactly fifty years ago when the Russian troops suppressed the freedom of the Hungarian people with their invasion in Budapest.

During those dramatic days was so clear the voice of Pope Pio XII, in a radio message, saying that the name of God, “the source of law, justice and freedom” had to “be brought back to our parliaments, our homes, our offices”.

In the same time Chiara Lubich, founder and still president of the Focolare catholic movement, said to many people : “there is a society capable of putting aside the name of God (...) of eradicating it from the hearts of men. So there must be a society who is able to give Him his place. There must be authentic disciples of Jesus, an army of volunteers, because love is free”.

Fifty years after the “volunteers of God” are a reality, inside the Focolare Movement and the Church and they had their meeting in Budapest, at the Sports Arena on the 14th, 15th and 16th of September.

More than 11.000 people, coming from 92 countries in the five continents, together with 13 ecclesial movements and New Communities, christians from various Churches, and follower of Islam and other religions.

Three days looking at the effects on social life where the Gospel is lived in everyday life and in different cultural backgrounds.

Because these are simple men and women that are living the normality of family, work and social life, but – while imitating the first Christians just today in the 21st century – are “like the leaven in the bread, building new heavens and new earth, renewed by the light of the Gospel”.

Simple people but with a great ideal : to propose fraternity as a way that leads to peace.

Because the world, after years and years of fighting for freedom and equality, is still waiting for fraternity.

Just like Bob Dylan, saying more than forty years ago : “An’ we gazed upon the chimes of freedom flashing”.