Thursday, July 26, 2007

HOLIDAY


"Siamo nati per volare, per cadere prima o poi.
Non fermarti,
non fermarti mai"

(Massimo Priviero, dall'album "Dolce resistenza", 2007)


Il blog va in pausa per un po'.
Auguri di una buona estate a tutti coloro che passeranno da qui.

E non smettete mai di pensare: il tempo della vacanza, diceva Don Giussani, é il tempo "della libertà e della sincerità", quello in cui "viene a galla quello che vuoi veramente".

Peace to everybody.

Sunday, July 22, 2007

CHIANG MAI


Mi affacciai dalla terrazza di quel meraviglioso tempio.
Dall'alto della collina la città e la natura circostante apparivano serene e discrete nella loro bellezza.
Il Wat Phrathat Doi Suthep era il tempio più bello di Chiang Mai, con la sua piattaforma dominata al centro dal chedi dorato, così simile per grandezza e splendore ai templi birmani. Per arrivare fino a lì avevo fatto una lunga strada e poi una ripida scalinata, quasi trecento gradini, proprio come i pellegrini di un tempo, per giungere fino in cima alla collina, Doi Suthep, mille metri d'altitudine a dominare la città.
La leggenda vuole che questo luogo fosse stato scelto da un elefante bianco che, incaricato dal re Kuena, nel XIV secolo, di scegliere un luogo propizio dove seppellire una reliquia del Buddha, si fermò a Doi Suthep e qui crollò a terra morto, come a dire che quello era il luogo giusto. E così venne eretto il chedi, la pagoda centrale, poi abbellito dai re di Chiang Mai negli anni successivi.


Il tranquillo passeggiare dei monaci e dei pellegrini, mescolati a silenziosi e rispettosi turisti, rende ancor più sacra l'atmosfera del luogo.
Eppure non lontano da qui c'é il triangolo d'oro, e allora come fanno a non venire in mente le contraddizioni di questo paese, disposto a convivere col traffico di droga ed il turismo sessuale ? Ad un occhio superficiale da turista occidentale appare strana e incomprensibile la tolleranza e la connivenza dei governi locali, ma in fondo é solo ipocrisia e senso di superiorità : anche l'Europa, culla di democrazia, é ricca d'incoerenza. E talvolta, nella sua "pretesa" di giustizia, il vecchio continente diviene di fatto incapace di muovere nella giusta direzione coscienze ed energie umane, mentre qui se non la giustizia, almeno percepisci la pazienza, una virtù coltivata e custodita a lungo dal popolo thailandese.

Un po' di anni fa un monaco buddista thailandese capitò col suo maestro a Loppiano, la cittadella del Movimento dei Focolari nei pressi di Incisa Valdarno, vicino a Firenze.
L'amicizia con alcuni membri del movimento era sbocciata in una visita alla comunità ed i due monaci si fermarono per un po' di giorni.
Alla sera erano soliti lasciare le scarpe fuori dalla loro stanza ed al mattino le trovavano sempre pulite per bene. Un gesto semplice, ma che colpì profondamente quei due nuovi amici. Il loro animo, profondo conoscitore della compassione, aveva scoperto la carità. E cristianesimo e buddismo, in una quotidiantità apparentemente semplice e banale, si erano incontrati divenendo esperienza di dialogo ed amore reciproco.
Thongrattana sviluppò un rapporto profondo, dopo quei giorni, con Chiara Lubich e le chiese un nome nuovo. Lei, ben felice, glielo diede. E da quel giorno, per tutti, il nuovo amico fu "Luce ardente".


Passeggio ancora a lungo all'interno di questo tempio.
Mi sembra lontana la frenesia di Bangkok, città che pure mi aveva così affascinato, complice forse l'aver rappresentato per me una sorta di battesimo con l'Asia. Ma c'era già qualcosa che stonava in quella città e che qui a Chiang Mai mi sembra di notare molto meno. Come una patina di modernità, una corsa a inseguire modelli consumistici insensati e tesa alla fine ad offuscare inevitabilmente il fascino di quest'antica città.
Scriverà Tiziano Terzani, qualche anno dopo:
"Con la Thailandia io avevo chiuso anni prima e, non fossi andato a vivere in India, dove le forze dello spirito sembrano ancora fare quadrato contro quelle della materia, anch'io sarei arrivato alla conclusione che in Asia non c'é più niente da imparare, niente di cui nutrirsi.
Bangkok era mutata tantissimo nel suo aspetto fisico e di conseguenza anche nell'anima. Il suo fascino era finito. Da una città assolata, percorsa da canali, era diventata un agglomerato di cemento, rabbuiato dalle tante strade sopraelevate costruite su quelle con cui erano state ricoperte le vie d'acqua. La modernità aveva eroso la tradizionale serenità della gente e accelerato i suoi, un tempo solenni, ritmi di vita". (1)


Nel 1995 Chiara Lubich giunge a Chiang Mai, nel corso di un suo viaggio in Asia.
Viene invitata al campus universitario Mahachulalongkorn dei monaci. L'abate del tempio la presenta alla sala, gremitissima di giovani; molti sono in collegamento audio-video in altre sale. Le si rivolge semplicemente col suo nome: per tutti, anche per i monaci, é semplicemente "Chiara". "E' un momento storico per questo tempio e per questa università - dice - Chiara é una persona-mondo: tutti riconoscono ciò che lei ha fatto e fa per la pace universale" E poi le chiede di raccontare la sua esperienza, affinché possa essere "oggetto di approfondimento nell'università". Piero Coda racconta bene alcuni di quei momenti:
"Chiara non legge il testo che ha preparato. Racconta invece - per rispondere all'invito che le é stato rivolto - la sua esperienza di vita. Quella che nel Movimento dei Focolari é conosciuta come la "storia dell'ideale", il racconto cioé dei primi tempi della vicenda spirituale di Chiara e delle sue compagne, suona qui tutta nuova: per l'uditorio che l'accoglie e per la sensibilità dialogica con cui é raccontata.
Nell'odio della seconda guerra mondiale e nel crollo di tutti gli ideali umani, la legge evangelica della "compassione" diventa per Chiara il segreto di una nuova vita. Il "chiedete e otterrete" delle Sacre Scritture cristiane é sperimentato come una realtà tangibile per quell'andare in soccorso dei poveri in cui s'impegnano Chiara e le sue prime giovani compagne.
Scoppia così una "rivoluzione della compassione", per realizzare la quale ragazzi e ragazze si consacrano con Chiara nella verginità.
Quest'ideale di vita si estende dall'Italia all'Europa, dalla Chiesa cattolica alle altre Chiese, e infine anche fuori dall'Europa nel contatto con le diverse religioni, con le quali si é scoperto di poter condividere la "regola d'oro" : "fà agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te; non fare agli altri ciò che non vuoi sia fatto a te".
L'amore - spiega Chiara, quasi sintetizzando l'insegnamento raccolto da quest'esperienza di vita e illuminato dai "libri sacri" della fede cristiana - richiede quattro cose: amare tutti, amare per primi, farsi uno (piangere con chi piange, gioire con chi gioisce), amare l'altro come sé.
Segue un dialogo bellissimo, moderato da Luce Ardente.
Alla fine c'é un scambio di doni. Conclude il gran maestro, dopo un invito a un minuto di silenzio e di concentrazione. Chiara ringrazia e dice ai giovani, vedendoli attenti e illuminati: "puntate in alto, siete giovani, non accontentatevi della mediocrità". E loro, tutti in coro, le rispondono all'unisono con una tipica esclamazione di gioia e di ringraziamento." (2)


Chiang Mai significa "città nuova" e Città Nuova é anche il nome della rivista quindicinale edita dal Movimento dei Focolari. Curioso che proprio sull'ultimo numero il bravo Michele Zanzucchi pubblichi un reportage su una sua visita in quel luogo (3).
Gli echi di quel viaggio di Chiara sono ancora presenti: in questa città il dialogo tra cristiani e buddisti é andato avanti, ma non solo tra di loro.
All'università di Chiang Mai sono quasi in mille tra monaci ed aspiranti ed é un insegnamento moderno che nulla toglie, comunque, alla ricchezza della tradizione buddhista Theravada. E il dialogo coi cristiani ? "Siamo come due matite di colore diverso - spiega il rettore a Zanzucchi - che si avvicinano per la punta: a volte fedeli di religioni diverse sono più vicini tra loro di quanto non avvenga con persone della propria religione. Lo sperimento con alcuni cristiani di Chiang Mai, in particolare coi focolarini". Le parole più incoraggianti sono però quelle dell'imam locale, Ajhan Soleh: "In varie occasioni abbiamo potuto dialogare a fondo con buddhisti e cristiani. Ci unisce soprattutto una parola: pace. Quando vedo dei buddhisti che accendono le loro candele al tempio, mi metto a pregare Allah per loro. Alcuni nella comunità sono rimasti sconcertati quando ho invitato dei monaci buddhisti alla moschea. Ma ora ci sono abituati."
Il vescovo cattolico di Chiang Mai, Joseph Sangval Surasang, appare felice, e parla di testimonianza. Sembra proprio che qui nessuno accenni al proselitismo, ma solo ad esperienza che rende felice l'uomo. E dovrebbe essere proprio così, in fondo, per chiunque e dappertutto: se hai incontrato Qualcosa che rende la tua vita valevole d'essere vissuta, cos'altro vorresti fare se non dirlo ai tuoi amici ? "Il turismo cresce a ritmi vertiginosi - dice il vescovo - e così i danni provocati dalla droga, dal sesso sfrenato, dai soldi sperperati. ma tanti occidentali atei ritrovano il loro rapporto con Dio, grazie alla testimonianza dei cattolici locali, di cui non sospettano neppure l'esistenza".

Strano posto, Chiang Mai, incontri personaggi curiosi, gente che parla ancora di dialogo e che, soprattutto, ne fa esperienza: il famoso sorriso thailandese - "Thai smile" - qui sembra più autentico.
Chissà che da lassù ora non sorrida anche Tiziano Terzani.
Credo che sarebbe anche disposto a tornare in Asia, per nutrirsi ancora di qualcosa.
Anzi, penso proprio che sarei pronto a scommetterci.


Note:

(1) Tiziano Terzani - Un altro giro di giostra - Longanesi & C.
(2) Piero Coda - Viaggio in Asia - Con Chiara Lubich in Thailandia e Filippine - Città Nuova editrice.
(3) Michele Zanzucchi - Elefanti albini, monaci zafferano - Città Nuova, n° 14, 25 luglio 2007

Thursday, July 19, 2007

I'LL REMEMBER YOU


Giovanni Falcone (Palermo, 18 maggio 1939 - Capaci, 23 maggio 1992)
Paolo Borsellino (Palermo, 19 gennaio 1940 - Palermo, 19 luglio 1992)


"(...) rivolgendomi agli uomini della mafia.... ma certamente non cristiani, sappiate... che anche per voi c'é possibilità di perdono. Io vi perdono però vi dovete mettere in ginocchio. Però... se avete il coraggio di cambiare... (...)"

(Rosanna Costa Schifani ai funerali del marito e di Giovanni Falcone)


"Gesù verso le ore tre grida a gran voce:
"Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato ?" (Mt 27,46)
E' il culmine dei suoi dolori,
é la sua passione interiore.
E' il dramma di un Dio che grida.
Infinito mistero, dolore abissale
che Gesù ha provato come uomo.
Dà la misura del suo amore per gli uomini.
Ha voluto prendere su di sé la separazione
che li teneva lontani dal Padre e fra loro,
E l'ha colmata.
Qualsiasi dolore dell'uomo si trova riassunto
in questo particolare dolore di Gesù.
Non é simile a Lui l'angosciato, il solo, l'arido,
il deluso, il fallito, il debole ?
Non é immagine di Lui ogni divisione dolorosa
tra i membri di una stessa famiglia ?
Amando Lui, il cristiano trova il motivo e la forza
per non sfuggire il dolore, il male, la divisione,
ma per accettarli e portarvi il proprio personale rimedio.
Gesù Abbandonato é la chiave dell'Unità."


"Gesù é il Salvatore, il Redentore, e redime quando versa sull'umanità il Divino, attraverso la Ferita dell'Abbandono, che é la pupilla dell'Occhio di Dio sul mondo: un Vuoto Infinito attraverso il quale Dio guarda noi: la finestra di Dio spalancata sul mondo e la finestra dell'umanità attraverso la quale (si) vede Dio"

(Chiara Lubich)

Friday, July 13, 2007

IL JUKE BOX TOTALE


Feci le ore piccole quel giorno, il 13 luglio 1985, per assistere al concerto.
Accesi il televisore nel pomeriggio e rimasi lì anche di notte, finché gli occhi riuscirono a rimanere aperti.
Il Live Aid, quella grande idea di Bob Geldof, era iniziato allo stadio Wembley di Londra ed era proseguito senza soluzione di continuità negli Stati Uniti, a Philadelphia.
Tutte le rockstars erano lì e Phil Collins aveva perfino preso il Concorde ed era volato da un posto all'altro, per riuscire a cantare in tutti e due gli stadi.
Apparse davvero a tutti come qualcosa di speciale, un superconcerto per l'Etiopia, che riuscisse finalmente a sensibilizzare tutti ed a catalizzare l'attenzione sul continente più sfortunato del mondo.
E fu grandioso, anche se poco o nulla cambiò dopo quel giorno, nonostante la grande quantità di fondi che il progetto fu capace, anche in seguito, di raccogliere. Giorno che poi qualcuno avrebbe comunque definito "the day the music changed the world".


Nonostante il profondo amore che nutro per la musica - e in particolare la musica rock - non ho mai creduto sul serio che potesse cambiare il mondo.
Lo credevano anche i protagonisti di Woodstock, nel 1969, ma dovettero ricredersi anche loro, appena pochi mesi dopo, all'indomani dell'uccisione di uno spettatore nel corso dei tafferugli scoppiati durante un concerto dei Rolling Stones nei pressi di San Francisco.
E così cambiò poco anche dopo il Live Aid, perché é il cuore dell'uomo che deve mutare, affinché la realtà della storia possa finalmente mettersi a girare in modo diverso.
E personalmente sono convinto che ciò avverrà solo quando lo sguardo dell'uomo sarà davvero capace di rivolgersi al volto buono del Mistero, che si é fatto carne per condividere la nostra vita.
Ma quell'evento, il "Juke box totale", fu comunque speciale e nel mio ricordo, più che spettacolo di libertà ed uguaglianza, lo fu di visibile fraternità.
Fraternità ed emozione, tra le rockstars che calcarono le scene, innanzitutto; ma anche tra essi e il pubblico e infine tra la gente tutta intera, sia che fosse dentro gli stadi o in diretta di fronte ad uno schermo televisivo. Disse Jimmy Page: "guardiamo le cose in faccia: quando pensate che tutti questi gruppi stanno suonando e nemmeno uno oltrepassa il tempo concesso, é incredibile ! Questo mostra perfettamente l'impegno di tutti per questa causa".


Tra i tanti racconti di quell'evento, ce n'é uno che fece in quei giorni Peter Hillmore e che rende bene quello che fu il pathos di un concerto forse davvero unico ed irripetibile.
Eccone qui i passaggi finali.

"Se non l'avete visto, cercate di immaginare la scena dello stadio JFK a Philadelphia. Sono le undici di sera, sono passate sedici ore da quando gli Status Quo lontano, lontanissimo, a Londra, hanno aperto questa lunga giornata con Rocking Around The World, una canzone ideale per aprire un concerto del genere.
Bob Dylan termina il suo ultimo pezzo. Dietro di lui, due chitarristi segnano discretamente il ritmo, Keith Richards e Ronnie Wood dei Rolling Stones. La folla, immobilizzata dal mattino, acclama il trio. Un degno finale dello spettacolo che si é appena svolto, ma in realtà é soltanto l'inizio.


Lionel Richie viene fuori da dietro il sipario, abbraccia Dylan, Richards e Wood e saluta la folla. La folla gli risponde. E il sipario si apre. Il palcoscenico é pieno di star fino a scoppiare. Un palcoscenico che una sola tra loro é solitamente sufficiente a riempire.
Lionel Richie intona We Are The World, We Are The Children. La folla eccitata si mette ad urlare. Poi appare Harry Belafonte. Poi Joan Baez. Poi Madonna. D'un tratto si mette a cantare un coro di bambini dalle voci cristalline. Il palco é pieno, gremito di star del rock che cantano all'unisono, o meglio cercano di cantare tutti insieme.
Ci sono i Duran Duran, sparpagliati in mezzo agli altri. C'é Mick Jagger, ha l'aria di non sapere le parole della canzone, ma canta, balla, é felice. Poi Patty Labelle, Tina Turner, Teddy Pondergrass e Dionne Warwick fanno un breve "a solo", accompagnati dai migliori cantanti del mondo, e i più costosi anche, che fanno gorgheggi, cantano, battono le mani e sorridono. C'é stata sì una prova, alla bell'e meglio, dietro al palco, in mezzo alle roulottes. Ma nessuno se ne frega niente di sapere se va bene. Non é una canzone questa, é una celebrazione.
Bob Dylan stringe Robert Plant tra le braccia. Bryan Adams prende Jimmy Page tra le sue. Eric Clapton si abbraccia da solo perché non é rimasto più nessuno da stringere.
La folla é in delirio. Spossata da una giornata simile e dal caldo, ha ritrovato l'energia. Una corrente di adrenalina si é stabilita tra lei e il palco. Si stimolano a vicenda. Anche la folla canta. Quando le star bissano la canzone, novantamila mani si protendono verso il palco. In questo momento preciso, loro sono il mondo, loro sono i bambini. Sanno che più di un miliardo di persone li hanno guardati, da ogni angolo del mondo, per tutta la giornata, e che questa gente, tornando a casa, sta probabilmente come loro tendendo le mani per partecipare a questa celebrazione.



Anche a Wembley lo stesso calore. Dalla musica come dal sole. I Thompson Twins e Nile Rodgers sono appena stati trasmessi dall'America via satellite. Freddy Mercury e Brian May hanno proprio ora finito di interpretare una canzone perché nessuno dimentichi il motivo del concerto: "Pensate a tutte le bocche affamate...". il palcoscenico é vuoto, tranne il piano lasciato lì da Elton John. Il fascio di luce del riflettore accompagna una minuta silhouette. E' Paul McCartney che si mette al piano. La maggior parte degli spettatori non ha mai visto un Beatles in carne ed ossa cantare una delle loro canzoni. McCartney piazza il primo accordo di Let It Be.


E' allora che il microfono salta. E' il genere di incidente che avrebbe potuto mandare tutto a monte, ma non é nulla, al contrario: quando la folla vede sugli schermi giganti che le sue labbra si muovono in silenzio, settantaduemila voci si mettono a cantare al suo posto finché il microfono non verrà riparato. Urlando quando i quattro coristi venuti ad accompagnarlo si dirigono discretamente verso il piano. I loro nomi sono: David Bowie, Alison Moyet, Pete Townshend e Bob Geldof. Cantano insieme ai settantaduemila spettatori finché i musicisti e tutti i cantanti che hanno partecipato al concerto non sono riuniti sul palcoscenico e intonano Do They Know It's Christmas. Ci sono gli Who che si sono ricostituiti per il concerto ("Buon Dio, che cosa strana tornare a cantare davanti a un pubblico", riconosce Townshend). C'é Sting, coi suoi vestiti così impeccabilmente bianchi quando si é esibito sette ore prima, ora sono uno straccio. C'é Bryan Ferry che, lui sì, ha trovato il modo di rimanere impeccabile. Ci sono i Queen, gli Spandau Ballet, Howard Jones, Elton John, Wham!, Style Council, gli U2, tutti quelli che sono passati sul palco in questo 13 luglio.
Nessuno é andato via. Non in un giorno come questo".


Sunday, July 01, 2007

RUSSIA

Ogni tanto in pronto soccorso ne capitava qualcuno.
Erano vecchi ormai e avevano un sacco di buoni motivi per presentarsi lì.
Ma succedeva sempre la stessa cosa: riconducevano ogni sintomo, anche il più disparato a quella terribile e pregressa avventura.
"Sa dottore - mi dicevano - io ho fatto la campagna di Russia".
Io sorridevo e spesso tagliavo corto : qualunque sintomo e qualsiasi patologia avessero in quel momento, cosa c'entrava una cosa così lontana ?
E così cercavo di sbrigarmi a capire invece cos'avessero, ma poi incrociavo tutte le volte quegli occhi dolci e rassegnati - ora sì che me li ricordo -, come se chi avevo di fronte mi dicesse "no, dottore, forse lei non ha capito".
Ma ero un po' più giovane allora. Credevo di sapere tante cose.


Quando gli alpini giunsero a Nikolajewka, l'accerchiamento dei soldati russi era ormai completo.
Avevano già marciato per giorni, gli italiani, nella neve ed al gelo, da quel maledetto giorno, il 16 dicembre 1942, in cui i russi avevano lanciato la loro grande offensiva lungo il fronte italo-tedesco ed era partito l'ordine di ripiegamento dal Don.
Ed ora si trovavano in pieno nella sacca e la situazione appariva ancor più difficile.
Non erano bastati i quarantacinque gradi sotto zero, senza abbigliamento adatto, lasciando indietro autocarri senza più benzina e viveri sempre più razionati. E poi feriti e congelati a centinaia ogni giorno, difficili da assistere e da trasportare e quei russi che attaccavano ogni giorno, molto più addestrati ed esperti a casa loro.
Ogni tanto, durante la lunga marcia, erano passati anche gli alleati, i tedeschi, meglio equipaggiati e con più automezzi e carri armati. Allora gli italiani cercavano di saltarci su, almeno coi feriti che non erano più in grado di camminare. Ma trovavano solo rabbia e cattiveria e calci e baionette a rimandarli giù, così che ad un certo punto avevano smesso anche di provarci e li guardavano passare con quegli occhi vuoti che assistevano impotenti all'inferno.


E' il tramonto e sulla strada non c'é quasi nessuno.
L'auto scorre via veloce ed il sole, rosso fuoco sulla linea dell'orizzonte, dà un strano senso di calore. Dal lettore cd le note fuoriescono struggenti, un brivido non può fare a meno di percorrere la pelle. La voce di Massimo Priviero accompagna le note della canzone, così azzeccate per quel pezzo, "la strada del Davai":

"Lo sai mamma mia che freddo fa stasera
E quanti occhi senza niente accanto a me
Chissà se mai la finirà, chissà se tu mi rivedrai
Son sulla strada, la strada del davai"

Dicevano così i soldati russi a quei prigionieri, italiani e tedeschi, che si trovavano a ripercorrere, da catturati, l'estenuante marcia nella neve che avevano fatto prima, alla ricerca di una via di scampo. "Davai !", "avanti !" gli urlavano in faccia e chi non ce la faceva veniva finito lì, senza pietà, con una raffica di mitra. Non sapevano, i poveretti che ancora riuscivano a camminare, che quei loro compagni di sventura avevano fatto una fine migliore di quella che aspettava loro, nei lager sovietici. Più di sessantamila dichiarati "dispersi" dalle autorità occidentali alla fine della guerra, ma invece - tutti lo vennero a sapere, molti anni più tardi - fatti morire di fatica, fame e freddo dal regime comunista che aveva "vinto la guerra" contro il nazismo.


"E' mostruoso - diceva poco dopo in quell'unica isba che raccoglieva ormai tutta la ventisei, il colonnello Verdotti, che portava i segni dell'aspra sofferenza divisa con i soldati; - la Julia venendo in Russia aveva circa ventimila uomini. Sapete in quanti siamo usciti dalla sacca ? In quanti siamo rimasti ?
- Compresi gli uomini mandati agli ospedali ? - chiese Serri.
- Compresi quelli.
- Diecimila... - azzardò Bartolan.
- Duemila trecento - rispose il colonnello.
La ritirata nella sacca ci pareva un disastro - proseguì il colonnello - invece é stata una tragedia senza nome. Anche le altre divisioni sono giunte svuotate, nella disgrazia noi non siamo stati neppure tra i più sfortunati. Non avete ancora idea di quello che é successo durante le marce, vedevamo ciò che accadeva intorno a noi, ma spesso non ci accorgevamo di quanto avveniva a chilometri da noi, nella notte, nella tormenta, nei paesi durante le soste: la colonna era lunga molte decine di chilometri, spesso discontinua, i reparti russi attaccavano la coda composta dagli uomini sbandati e più stanchi, li isolavano e li catturavano; nel corpo della colonna battaglioni distanziati, reggimenti interi hanno perduto i contatti, hanno sbagliato strada e sono caduti in blocco nelle mani dei russi. I morti in combattimento sappiamo chi sono, gli assiderati caduti sulla neve li abbiamo visti, in tutto rappresentano una cifra minima al confronto del numero degli assenti: mancano generali, colonnelli, molte decine di migliaia di soldati, reparti al completo che sono rimasti prigionieri. Una tragedia che non poteva essere più grave e dolorosa, figlioli."
(Giulio Bedeschi, Centomila gavette di ghiaccio)


Dicono che Bob Dylan non canti più come una volta, una voce andata in malora, scalette troppo simili l'una all'altra nei concerti del suo Never Ending Tour ed una band sottotono.
Può darsi anche che sia vero, ma l'altra sera, ascoltando la registrazione di uno dei suoi utimi show dell'attuale tour, nel Nord America, quella "Masters of War" - "Padroni della guerra" - mi é sembrata intatta nella sua forza e rabbia di sempre.

"Come Giuda al tempo antico
voi mentite, voi ingannate,
mi volete far sicuro
che una guerra mondiale la vincete.
Ma io vi vedo negli occhi,
io vi vedo fin dentro il pensiero,
come vedo nell'acqua
che mi scende nello scolo

Vi farò una domanda,
quanto vi vale il denaro,
ve lo compra il perdono,
ci credete davvero ?
Io credo che invece scoprirete,
quando la morte vorrà il suo pedaggio,
che con tutto il denaro che avete
la vostra anima non la ricomprerete"

"Mai più la guerra !" e l'aveva detto anche Giovanni Paolo II, ma a guardarsi in giro, anche al giorno d'oggi, sembra davvero che l'uomo non voglia imparare mai.


Qualcuno é riuscito a raccontare quegli avvenimenti, una volta tornato a casa.
Giulio Bedeschi, Nuto Revelli, Eugenio Corti.
Quando lessi le pagine di Corti - I più non ritornano, Il cavallo rosso - ringraziai il cielo che qualcuno avesse avuto la forza di non dimenticare.
C'é un passaggio del resoconto di Corti in cui tanta tragedia sembra divenire alla fine sorta di castigo all'intera umanità. Ma c'é anche qualcosa che questo grandissimo scrittore ed ex ufficiale scrive in nota, sotto forma di lettera ad un amico :
"(...) prima di chiudere io dovrei introdurre qui un'altra componente molto ma molto importante del quadro (forse la più importante di tutte). Come cioé Dio recuperi la sofferenza degli uomini, soprattutto degli innocenti - crocifissi al pari di Cristo innocente - la quale sofferenza pertanto non va affatto sprecata. Dunque quei morti non sono morti per niente: ti rendi conto di quanto ciò sia importante ? "

Sono passati gli anni ormai ed i superstiti della Russia non li vedi più, ormai sono morti quasi tutti.
Vorrei tanto tornare indietro ed incontrarli di nuovo, in qualche pronto soccorso.
Allora questa volta sì che mi fermerei, per farmi raccontare tutto.
E forse, alla fine, gli direi che se "ghe manca el fia' " é davvero colpa di quella maledetta guerra.
Qualche tempo fa, però, li ho incontrati di nuovo.
Ho girato la testa, per caso, e su quella lapide di marmo c'era il nome di tutte le loro compagnie. La Cuneense, la Tridentina, la Julia, tutte insieme in mezzo ai personaggi celebri, al cimitero Monumentale di Milano.
Allora mi sono domandato quale fosse il significato della parola speranza.
Forse gli occhi di una madre. La madre é l'unica che non la perde mai, anche quando le circostanze sembrano sostenere il contrario.
Mi volto indietro. Di fronte c'é la tomba di Don Giussani.
C'é sempre qualcuno che viene a trovarlo: in qualunque ora del giorno non lo trovi mai da solo.
Vado a salutarlo anch'io. Sulla lapide una sola frase: "Madonna, tu sei la sicurezza della nostra speranza".