Saturday, January 09, 2010

WINTER STAR


In the middle of nowhere, nel bel mezzo del nulla, era esattamente così che si sentiva.
Ed era lì che si finiva per ritrovarci tutti, prima o poi, non è vero Jeff (1) ? Chi più, chi meno, ma spesso le autostrade della mente portavano a quello strano crocevia.
Non riusciva a scrivere, ma neppure a focalizzare in qualche modo i suoi pensieri. Faceva fatica a concentrarsi su tutto e per di più mille paure ed ansie lo assalivano senza preavviso, quando meno se l’aspettava, specie quando si faceva buio.
Nessuna buona ragione, eppure un disagio crescente dentro sé, l’incapacità ad alzare lo sguardo, a concentrarsi su qualcosa, a leggere o meditare su alcunché.
Non che gli dispiacesse così tanto, in fondo, questa strana sensazione d’inconcludenza e d’improduttività. Ci poteva stare, poteva fargli compagnia senza provare troppo scandalo. Non era accidia, non lo faceva apposta a sentirsi in questo modo e poi poteva essere anche una buona scusa: per provare ad osservare un po’ di più tutto ciò che stava intorno, lasciarsi travolgere da suoni, immagini e pensieri, senza opporre troppa resistenza.
Così prese a passeggiare, senza pretese e senza meta, incuriosito da ogni cosa: sassi e persone, alberi e case, luci e sbuffi di vento che investivano il suo volto all’improvviso; finché scorse anche quell’edificio, così bello già sin da lontano. Pietre disposte in armonia, una luce fioca a illuminarle, pietre antiche e una montagna sullo sfondo, fredda come gelida era l’aria che lo avvolgeva da ogni parte. Si stava facendo buio di nuovo, ma le luci erano ancora quelle del crepuscolo, capaci di mettergli in animo un po’ di quella magia che da troppo tempo gli mancava.
Continuò a camminare, finché giunse lì davanti. Viste da vicino, le pietre sembravano ancora più antiche di quanto fossero apparse da lontano; una chiesa dell’anno mille, pensò, mentre la bellezza di quelle forme rapiva sempre più il suo sguardo; poco a poco il disagio della sua mente confusa sembrò svanire, lungo il percorso di quegli sguardi prolungati; immaginò cosa dovessero provare viandanti e antichi cavalieri, stanchi lungo il difficile cammino, quando lo scorgere una croce, posta lassù in alto, diventava punto di riferimento improvviso, per sguardi che puntassero lontano, bisognosi di non perdere la strada lungo un sentiero impervio e poco illuminato.
Ormai aveva deciso di entrare, ma si fermò ancora un poco lungo quelle mura, in compagnia dei dubbi e delle sue paure, quasi indeciso nel volerle lasciar fuori, sole ed al freddo, abbandonate dalla mente. Si fece forza e si scrollò di dosso tutto in un momento: non era la debolezza di se stesso ciò che voleva avesse ora il sopravvento. E, mentre si accingeva ad entrare, pensava a un suono, musica di chitarre d’umana resistenza, quelle che accompagnavano sempre i suoi momenti migliori ed i peggiori. Adesso era suono di una liquida e sinuosa pedal steel guitar, aggrappata alle radici di una tradizione, capace di scacciare i fantasmi dagli infiniti deserti della mente e le armonie che disegnava fecero comparire un sorriso sul suo volto mentre spingeva il portone, così pesante, proprio laggiù, in fondo alla chiesa.
Entrò piano piano, senza far rumore e si sedette in fondo, perché fino al profondo dell’anima e dei suoi pensieri oggi era necessario che scendesse qualcosa di nuovo. L’uomo sul pulpito parlava forte e sicuro e di primo acchito gli mise pure un po’ di timore. Poi il suo volto, d’un tratto, si fece sereno e sorridente e fu solo allora ch’egli riuscì a fare più attenzione a ciò che diceva. “La scienza misura il tempo, la fede misura l’eternità”, disse ad un certo punto e quella frase gli trapassò il cuore dolcemente. Era un uomo di scienza e non aveva fatto altro, fino a quel momento, che misurare il tempo. Eppure spesso, troppo spesso, si trovava incerto ed indifeso, specie in quegli attimi in cui l’oscurità calava intorno a sé. Dopo tutto era una questione di metodo e da bravo scienziato provò ad analizzare quelle strane sensazioni. In fondo non aveva fatto altro che sbagliare l’unità di misura. Cercava la bellezza e la misura era l’eternità. Voleva far da solo ed il metodo era invece chiedere un aiuto. Fidarsi di qualcuno o di qualcosa, ci aveva mai pensato prima d’allora? No, aveva sempre creduto di fare e farsi da sé. Ecco perché i successi e le sconfitte si erano sempre comportati da impostori. Ecco perché ansie e insicurezze crescevano così insostenibili al primo calar della sera.
Ma oggi gli sembrava d’aver compreso qualcosa di nuovo ed inatteso, questa sera che la bellezza gli si era fatta infine incontro sorprendente. Tirò su il volto impolverato dalla strada e la sua voce si unì al coro delle anime che all’improvviso scorse intorno a sé.

Quando uscì da lì trovò di nuovo i dubbi e le incertezze che aveva lasciato fuori al gelo. Li riconobbe subito, anche se li vide in qualche modo stranamente trasfigurati. Non ebbe paura, comunque, di prenderli di nuovo su con sé. Se li mise in tasca come qualcosa di prezioso, qualcosa che l’aveva condotto sino a lì. Tasche di un abito nuovo, quello cucito addosso dalla fede. Riprese il cammino, per tornare lentamente da dove era venuto, ma il passo questa volta era deciso e sicuro.
Ora sapeva dove andare. Aveva molta gente intorno che gli voleva bene. Gente da amare, lungo la strada, ne avrebbe incontrata ancor di più.
Volse lo sguardo verso il cielo, chissà com’erano le stelle della California, quelle che avava cantato Woody tante volte. Anche il cielo di quella sera era pieno di stelle e illuminato dalla luna. In mezzo doveva esserci pure la più bella, quella che aveva guidato i tre re fino a quel bambino. Tante, troppe volte, il cielo gli era parso nero e vuoto, ma stanotte poteva scorgere tutto anche lui.
Sorrise e riprese il suo cammino, sereno ed un poco compiaciuto; la liquida e sinuosa steel guitar aveva ripreso a suonare, mentre lui l’accompagnava allegramente con la mente. Si era rimesso a misurare i pezzi del suo cammino, ma il suono era quello di una canzone senza fine, note di una bellezza che faceva rima con eternità.




Note:
(1) "Noi ci troviamo nel bel mezzo del nulla" (Jeff Tweedy, 1991)

3 comments:

Paolo Vites said...

epperò. hat off.

e welcome back

Maurizio Pratelli said...

Ti sei subito fatto perdonare la lunga assenza. Quel pezzo dei wilco l'ho sentito proprio ieri sera su youtube. Buon anno!

Fausto Leali said...

Anche i cardiomen vanno in vacanza ogni tanto....
benritrovati amici!