Thursday, May 12, 2011

LA BICI, LA STRADA E LA CORSA


Il professor Tredici me lo ricordo tranquillo e sorridente, seduto dietro ad una cattedra, più o meno un milione d'anni fa. Era felice perchè era appena tornato da Città Del Messico, con in tasca il record dell'ora di Francesco Moser, della cui squadra, l'équipe Enervit, era il responsabile medico. Io, tranquillo, non lo ero per niente, anche se mi sforzavo d'essere sorridente anch'io. Già, perché lui, il professore, stava per farmi l'esame di anatomia, cioé quell'incubo che ogni studente di medicina si porta dietro per una vita intera, anche dopo che l'ha passato. L'esame andò bene al primo colpo, per fortuna, non so se per via di una preparazione adeguata o del buon umore del mio insegnante. Merito di entrambi, suppongo.
Il professor Tredici l'ho rivisto in televisione, qualche giorno fa. A raccontare della morte sfortunata di un ragazzo belga. "Non avevo mai visto niente di simile", ha detto. Una bicicletta veloce, dritta senza fiato lungo la discesa, ad accompagnare, laggiù in fondo, una vita che era destino finisse in mille pezzi, vicino al ciglio di una strada.

Stamani mi sono svegliato già stanco, voglia di andare a lavorare prossima allo zero. Ma una strada in mezzo ai campi aiuta anche a recuperare il buon umore. Mi sono fermato al solito baretto, una minuscola frazione, poche case in mezzo alla campagna. No, non servono Bloody Mary da queste parti, ma il cappuccio e la brioche accompagnati dalla semplicità e dal sorriso non hanno prezzo. Qualche volta mi siedo pure al tavolino, che c'é anche la gazzetta dello sport, libera lettura a disposizione di chi passa. Nei giorni scorsi ci ho letto sopra le emozioni del mio vecchio cuore rossonero, ma oggi lo sguardo é caduto sull'intervista a Davide Viganò, compagno di squadra di quel ragazzone belga partito prematuramente per il cielo.
"Mai pensato che la bici sia cattiva?", gli ha chiesto il cronista. Come la vita, penso tra me e me, quanto volte pensiamo che sia cattiva pure lei. "Non lo é la bici, non lo é la strada, non lo é la corsa - gli risponde Davide - La bici è speranza, la strada é maestra, la corsa é la vita". E aggiunge: "fino al punto estremo in cui si dona la vita".
"Lei é religioso?". "Sì, cattolico - prosegue lui - "Credo, seguo, prego".
"E in questo momento?", incalza il giornalista. "E' come se ci fossimo fermati tutti, a riflettere. Non più il ciclismo come sport, lavoro, spettacolo, commercio. Ma il ciclismo come umanità, qualità umana". "E adesso Davide?", prosegue lui. Già, perché c'é bisogno di una ragione in più, forse, per continuare ad andare avanti ancora. "Non sarò più quello di prima - risponde - Ma meglio. Io, i miei compagni, gli altri corridori. La morte di Wouter ci ha reso tutti più consapevoli, più responsabili, più umani. Migliori".

Mi alzo, una lacrima, piccola piccola, sta iniziando a solcare impertinente il mio volto assonnato del mattino. E meno male che nessuno se ne é accorto, che a commuoversi, i nfondo, ci si vergogna sempre un po'. Vado a pagare il mio cappuccio e la brioche: due euro e dieci, penso, sono fin troppo pochi per tutto quello che mi é stato dato. Risalgo in macchina: é strano, mi é tornata pure la voglia d'andare a lavorare.
Forse siamo tutti un po' migliori, stamattina.



1 comment:

Maurizio Pratelli said...

la commozione ci mette a nudo. ma non è ho vergogna.