Sunday, September 25, 2011

RIPORTANDO TUTTO A CASA

Cronaca di un weekend. Sulle tracce del nuovo arcivescovo nel suo ingresso a Milano.
Riportando tutto a casa.


C’è una frase, scritta su un poster, appeso sopra il tavolo di cucina, che rincorre spesso i miei pensieri. Parole sulle quali lo sguardo assonnato del mattino si sofferma, tra una fetta biscottata e una tazza di caffé e che narrano di Giovanni e Andrea che seguirono Gesù fino a casa sua, perché o Cristo era un’esperienza del presente, o il loro io non sarebbe stato mosso né cambiato. Ecco cosa sto facendo anch’io, in fondo. Seguire. Andare dietro ad un avvenimento, che oggi ha la forma dell’ingresso di un arcivescovo a Milano, ma la cui sostanza è far diventare esperienza ciò che mi viene dato ora, perché divenga bellezza e felicità per la mia vita di ogni giorno.

Si comincia nella “sala blu” della mia parrocchia, al venerdì sera. E c’è già da incontrare un pezzo del nostro cuore. Don Piero Re, il vecchio parroco, è tornato in San Protaso, a raccontarci del suo amico Angelo Scola. Della sua vita, del suo magistero, dei suoi compagni di cammino. E’ un racconto, il suo, intenso e appassionato, fatto anche di pezzi di vita condivisa, dettagli sul cardinale che non si leggono sui giornali e che servono già a far crescere un’affezione: “impareremo a volergli bene”, ci dice subito, all’inizio, ed a noi non viene voglia di fare nient’altro se non d’intraprendere un cammino d’affetto, quello che il cardinale, un attimo dopo essere stato nominato, ha chiesto ai milanesi assieme alla preghiera. Un’ora e mezza passa in un baleno e serve a ciascuno per conoscere un po’ di più chi sta arrivando in città. Le ultime parole della serata sono quelle di alcuni giornalisti che lo hanno conosciuto: “non attendetevi un manager, ma un pastore, che desidera solo testimoniare e diffondere l’attenzione a Cristo e proporre a tutti la fede cristiana come il sale che dà il sapore e la forza alla vita dell’uomo. E’ uomo di grande intelligenza e cultura, ma sempre affabile e semplice: accoglietelo senza pregiudizi, vi sorprenderà”.

Già, perché quella del pregiudizio è un’ombra che sembra essersi già allungata: dicono che ci sia chi non gradisce l’arrivo del nuovo arcivescovo e che si stia già ostacolando il suo cammino. E’ una vecchia storia, roba già scritta nel Vangelo e nella storia della Chiesa, che sa tanto di quella persecuzione prerogativa della vita dei cristiani veri. Ma Milano, domenica pomeriggio, non sembra avere intenzione di dar retta a costoro e riserva al cardinale un bagno di folla in piazza Duomo. I maxischermi inquadrano il suo volto sorridente, mentre, dopo essere sceso dall’auto proveniente da S. Eustorgio, attraversa la piazza fermandosi a salutare tutti quelli che può, fino all’abbraccio più importante, quello con Dionigi Tettamanzi; abbraccio così forte che quasi entrano tutti e due a braccetto in chiesa ed è una tenerezza che si fa strada sotto forma di brividi che scorrono sotto la pelle. Noialtri, già dentro in cattedrale, abbiamo udito la raccomandazione di non applaudire più, dopo l’ingresso in Duomo, fine alla fine della celebrazione, ma nessuno riesce ad ubbidire e l’applauso si ripresenterà, anche durante alcuni momenti della liturgia. E’ la Milano della sequela e dell’affezione che cresce a poco a poco, mentre quella del pregiudizio imbocca tristemente a ritroso la strada dalla quale era venuta. Nell’omelia, l’arcivescovo donerà molti spunti che sarà bello riprendere e far diventare parola vissuta. Cita il cardinal Montini e Cesare Pavese (“quanta gente sembra sopraffatta dal mestiere di vivere!”). Ma ciò che rimane nel cuore è un appello a ciascuno – “Ho bisogno di voi per svolgere il mio compito nella gioia”- e l’accorato augurio finale: “metropoli di Milano, illuminata, operosa ed ospitale, non perdere di vista Dio!

Quella parola - seguire - che guidò l’agire di Giovanni e Andrea, si riaffaccia ancora una volta nella mia mente, mentre l’auto, alla sera, percorre la strada che porta al lavoro. Un’altra notte in ospedale, un’altra notte lungo le mie torri di guardia. Spazio per pensare un po’ di più a ciò che ho vissuto. Sequela ed obbedienza, quella dovuta al nuovo pastore arrivato in città, cominciano a mescolarsi inesorabilmente ad una strana forma di lertizia. “Che vale la vita se non per essere data?” - dice Anna Vercors a Pietro di Craon, ne “L’Annuncio a Maria” di Paul Claudel - “E perché tormentarsi quando è così semplice obbedire?”, aggiunge. Eccolo, il centuplo di questo weekend, sulle tracce dell’ingresso a Milano di Angelo Scola. E’ il desiderio di fare della propria vita un dono ed è quello che porterò via con me anche domattina, lungo la strada che porta verso casa. Un pensiero dolce, che s’insinua a poco a poco e che dice che ciò che il mio cuore desidera esiste: basta saper seguire docilmente la volontà di un Altro, nell’attimo presente della vita. Ed io, questa vita, non ho più paura a darla tutta.

3 comments:

anna said...

«Ho bisogno di voi per svolgere il mio compito nella gioia” - metropoli di Milano, illuminata, operosa ed ospitale, non perdere di vista Dio!»
Anche a me è rimasta addosso questa cosa finale.
Forse perché l'avere bisogno degli altri è per me molto attuale e ho bisogno di vedere le spalle dell'uomo che mi cammina davanti, per vivere (vedi post di gamblin--ramblin).
ciao!

Anonymous said...

sono daccordo con te, su steve. ma penso anche che le persone pensino che la morte debba arrivare sempre a qualcun'altro e mai a te, allora non ci pensi, o allontani il pensiero.per fortuna che il signore a inventato la morte,e quando capisci questo stai piu' con i piedi per terra,e tante cazzate mentali le metti da parte. un saluto piero.

Fausto Leali said...

Grazie Piero, copio e incollo il tuo commento sul post relativo a Steve Jobs!