Monday, June 23, 2008

CAMBOGIA - prima parte


Bangkok, inverno 1990. Mi aggiro tra gli scaffali di Asia Books, libreria del centro della città. Sono alla ricerca di qualcosa su questo bellissimo paese, la Thailandia, ma m'imbatto per caso in un libro che parla di Cambogia.
The Stones Cry Out è il racconto di Molyda Szymusiak, vissuta da ragazzina sotto l'atroce regime dei khmer rossi, prima di riuscire a giungere da profuga in Francia, negli anni a venire, dopo aver perso tutti i familiari nel proprio paese.
Comincio a sfogliare le pagine e m'imbatto in una tragedia che non conosco. Acquisto il libro, inizio a leggerlo subito. Rimango sempre più attonito e, mano a mano che entro nelle vicende della storia, mi vergogno della mia ignoranza su quel paese. Imparerò col tempo, però, anche di come quell'ignoranza sia inscritta dentro un alone di omertà e, in un certo senso, quasi di corresponsabilità dell'occidente, che ha spesso taciuto sulla tragedia di questo popolo sotto il regime comunista di Pol Pot.
Tornato in Italia trovo la traduzione italiana del libro - Il racconto di Peuw, bambina cambogiana - e compro anche quella.
Continuo la lettura, anzi la ricomincio da principio, finisco il libro tutto d'un fiato.
E arrivato in fondo, continuo a non capire.
Non capisco le ragioni profonde del dramma, e ancora di più il motivo del suo isolamento, il fatto che accada che non tutti gli "sfortunati" debbano essere uguali e ricordati allo stesso modo dalla storia. L'olocausto cambogiano non ha avuto la stessa risonanza di altri, come, ad esempio, quello ebreo da parte dei nazisti. Perché ?


Il 17 aprile 1975 i khmer rossi entrano a Phnom Penh, rovesciando definitivamente il governo del generale Lon Nol, sostenuto dagli Stati Uniti e che, a sua volta, aveva spodestato la monarchia del re Norodom Sihanouk. Inizia uno dei periodi più cupi della storia dell'umanità intera. Le città vengono svuotate e la popolazione deportata per intero nelle campagne. Sono abolite le scuole, la proprietà privata, la moneta, chiusi gli ospedali. Il progetto è quello aberrante di un comunismo rurale, che riporta il paese indietro di secoli, in condizioni di vita quasi preistoriche. Vengono sistematicamente eliminati non solo gli oppositori al regime, ma anche insegnanti, artisti, monaci, medici, chiunque avesse un titolo di studio o conoscesse una lingua.
Per essere uccisi bastava essere scoperti con una penna in mano, ma anche molto meno: un litigio, rubare pochi chicchi di riso per fame, lamentarsi della propria sofferenza in mezzo alle malattie ed alla carestia che ben presto erano dilagate nel paese; e la condanna a morte precedeva un'esecuzione spesso eseguita a bastonate, perchè bisognava risparmiare anche sulle pallottole.
Nel 1975 avevo tredici anni e portavo gli occhiali: sarebbe bastato questo particolare per farmi perdere la vita se fossi nato e cresciuto in Cambogia.


Il 22 dicembre 1978 il Vietnam lancia la sua offensiva ed invade il territorio cambogiano. Il regime di Hanoi, sulla carta fratello d'ideali comunisti del regime dei khmer rossi, ma mai in realtà in buoni rapporti, prende rapidamente il possesso del paese, instaurando un governo fantoccio sotto la guida di Heng Samrin, ex khmer rosso della zona orientale. Quella del Vietnam non è guerra di liberazione, ma serve ai cambogiani per scacciare dal potere un regime che, in poco tempo, è riuscito a mettere in atto un genocidio che ha portato alla morte circa due milioni di persone in un paese che ne contava inizialmente circa sette.
Gli anni a venire non liberano il paese da povertà, sofferenza e dall'assenza di vera giustizia e democrazia. Anche la missione dell'ONU - l'UNTAC - che prova a governare dal 1991 al 1993, col compito di traghettare il popolo verso libere elezioni, si rivela enormemente dispendiosa di denaro e vite umane, ma non ottiene, in fondo, l'obiettivo sperato. La Cambogia giunge ai giorni d'oggi con un'alternanza di governi di coalizione, intervallati anche, nel 1997, da un colpo di stato di Hun Sen, altro ex leader khmer rosso, già capo di stato nel 1985, il tutto espressione dell'incapacità di eleggere un vero governo rappresentante del popolo. La strana miscela di gruppi politici perennemente avversi tra di loro, inizialmente persino compresiva degli organismi dirigenti degli stessi khmer rossi - mai processati per i loro crimini - sembra l'unica alternativa alla persistenza di una guerra civile senza fine.


Aprile 2008, vede la luce Fantasmi, un libro che racchiude tutti gli scritti sulla Cambogia del compianto Tiziano Terzani. Aspetto un libro del genere da tempo: il suo Holocaust in Kambodscha, ormai irreperibile, era stato pubblicato ai tempi solo in tedesco.
E' un'appassionante carrellata di articoli, raccolti in ordine cronologico, dove Terzani racconta la sua esperienza in questo paese a partire dal 1973 sino al 1996, momento in cui si sparge la voce che Pol Pot sia morto. Quello sarà il suo ultimo articolo sulla Cambogia, anche se la notizia si rivelerà successivamente falsa: lo spietato dittatore morirà davvero nell'aprile 1998, senza aver mai scontato alcuna delle proprie colpe. Ma nel 1998, come dice la moglie di Tiziano, lui "si era ormai ritirato nell'Himalaya e i "fatti" non lo interessavano più".
Il libro è anche un viaggio dentro l'anima dello srittore, che mostra inizialmente tutto l'entusiasmo per il fallimento della guerra americana e l'avvento al potere dei governi comunisti, quello di Saigon e quello "nuovo" dei guerriglieri cambogiani.
Ma piano piano la verità viene in superficie, l'orrore diviene visibile e si fanno strada prima l'incredulità, poi la coscienza e l'orrore ed infine la delusione e lo scoraggiamento.
Il sentiero che questo straordinario scrittore percorre, nell'acquisire coscienza della precarietà dell'ideologia, sembra non giungere alla fine ad affacciarsi su una strada che possa portare alla conquista di una vera libertà. Rimarrà in lui disillusione e poca fiducia nell'agire umano e nella storia, pur rimanendo intatti una passione ed un rispetto dell'uomo che trovano pochi eguali nel panorama giornalistico mondiale.
Angela Staude, nel saggio introduttivo di Fantasmi, scrive del marito: "se fino ad allora non aveva creduto alle informazioni degli americani a meno che non le avesse personalmente verificate e si era invece fidato della sinistra, ora non si fida più di nessuno". E ancora: "negli anni novanta dentro di sè voltò le spalle al giornalismo: non si era dimostrato l'arma con cui da giovane aveva sperato di poter agire sui politici per cambiare le sorti del mondo. Presto partì per nuove mete, per quel viaggio che dalla Thailandia lo portò in India, da lì all'Himalaya e infine a Orsigna, dove si conclude il suo "viaggiare per il mondo alla ricerca della verità".


E' la stessa tristezza che traspare quando la Staude, in un altro passo del saggio, parla del popolo cambogiano concludendo che "quello dell'improvvisa ferocia è uno dei lati oscuri della razza khmer". Mi viene in mente il volto spesso sorridente dei thailandesi: forse è per questo che la "ferocia" sembra fare ancora più contrasto, divenendo "lato oscuro". Claire Ly, cambogiana, ci aiuta però a capire: "gli occidentali difficilmente capiscono che il sorriso asiatico è in realtà una porta chiusa, una facciata esposta ad ogni vento, e che l'essenziale è altrove. Noi asiatici ci disegniamo il sorriso sul volto così come si dà una tinta sulle pareti di casa per proteggerle. E' bello. Ed è isolante. (...) Allora beato te quando un'asiatica ti parla senza sorridere, con un volto quasi chiuso. Occidentale: sei stato adottato, fai parte della cerchia degli amici, una cerchia molto difficile da penetrare nel mondo orientale".

Ma se di lato oscuro si tratta, bisogna guardarlo fino in fondo, senza errori che rischino di non comprenderlo e relegarlo in un angolo, quasi fosse una strana e scomoda anomalia. Avere il coraggio di accettarlo come possibilità vuol dire capire di più la possibilità di deriva dell'uomo e allora non importa se sia un khmer rosso del passato o un novello naziskin: la ferocia è ciò che affiora, il destino che lo attende, quando l'uomo è drammaticamente lasciato solo a se stesso.
Giovanni Lindo Ferretti, nel suo libro "Reduce", in cui il guardare indietro alla storia s'intreccia di continuo con una profonda esperienza personale e spirituale, sembra avere un'altra lucidità di giudizio e di pensiero:
"E' passato il secolo ventesimo, quello veloce e breve, dal '19 all'89. Doveva decretare nei fatti come da idee che l'hanno prodotto l'alba della libertà, a seguire il sol dell'Avvenire, l'uomo nuovo, la nuova umanità. Eccolo: mattatoio abominevole in dimensione industriale, milioni e milioni a decine, di uomini e donne, vecchi e bambini, ridotti a fumo cremoso, fanghiglia viscida escrematizia e putrida. Tolto il soffio divino a questo si riduce l'uomo. Macello d'ogni speranza, illusione d'umana presupponenza. Su questo costruisce chi s'affida, contro Dio, all'uomo. Nelle due dimensioni in dote alla modernità: il nazifascismo e il comunismo. Alla post modernità: lo scientismo tecnologico genetico".

(fine della prima parte)

5 comments:

Paolo Vites said...

urla dal silenzio si chiamava quel bellissimo film che parlava del genocidio in cambogia?

grazie di qs post ricchissimo di informazioni e riflessioni; si è mai visto qualche brillante contestatore dei nostri, sempre pronto a scendere in strada contro l'imperialismo statunitense, dire una parola contro questa e le tante stragi del comunismo? ovviamente no. ci sono menti brillanti ancora oggi in italia che rimpiangono i soviet e celebrano la rivoluzione "popolare" in Indocina.

Fausto Leali said...

"Urla del silenzio", proprio lui...

Hai ragione in tutto.
Il prox libro che vorrei leggere è Arcipelago Gulag (e quest'anno c'è la mostra al meeting su Solzenycin)

factum said...

L'ultima riga non mi lascia quieto...

Ciao e vediamoci al Meeting.

factum said...

Dimenticavo

http://www.asianews.it/index.php?l=it&art=12593&size=A

Fausto Leali said...

sarebbe bello incontrarsi al meeting: io sono là da lunedì sera al sabato (e non mi perdo il Van De Sfroos). Come facciamo ?