Sunday, November 16, 2008

PRENDERSI CURA?

"Ci vuole una grande umanità per capire che la cosa più difficile da sopportare é il dolore
e la cosa di cui abbiamo più bisogno é che nel dolore ci sia qualcuno con noi che condivide e ci aiuta a non essere soli.
Ci vuole solo una grande, infinita, straordinaria umanità"
(Enzo Piccinini, chirurgo)

"Una persona é più dell'individuo biologico, psicologico e sociologico che la definisce. In essa vibra un fattore che non possiamo definire, ma possiamo riconoscere. E' ciò che risponde all'idea di Mistero. Infatti anche in presenza di punteggi di qualità di vita negativi é possibile la felicità, e anche tutte le condizioni migliori non la garantiscono. E' sotto gli occhi di tutti, ogni giorno. Negare questa verità é un primo atto d'irragionevolezza scientifica.
La conoscenza é una finestra spalancata sul reale, non una scatola in cui rinchiuderlo."
(dal catalogo della mostra di Medicina e Persona "Misurare il desiderio infinito?)



Premessa
Più passa il tempo, nell'esercizio della professione medica, più si fanno strada in me sentimenti e sensazioni nuove.
Cresce l'esperienza, la pratica clinica e cresce la conoscenza, attraverso lo studio e la lettura di quel bagaglio sempre più ricco ed ampio costituito dalla letteratura medica.
Ma, paradossalmente, pur dentro un lavoro sempre più caratterizzato dalla possibilità di migliorare la qualità di vita e la sopravvivenza dei pazienti, affiora anche un certo senso d'incertezza e di disagio, di fronte alla complessità di questo mestiere, per cui - in un certo senso - più sai, più ti accorgi di non sapere.
Eppure, mentre compi ogni giorno gli atti della tua professione, ti accorgi sempre più che tutto quel lavoro, nella misura in cui lo compi con zelo e con passione, diviene a poco a poco condivisione e compagnia al Destino.
Allora e solo allora, se ti sforzi di farti capace di comprendere fino in fondo ciò che accade davanti a te, sei capace di accettare anche le sconfitte, che così cessano di divenire frustranti, quasi fossero un fallimento di tutto il tuo lavoro.
Ma non é semplice e scontato: é anch'esso duro lavoro - interiore questa volta - su cui sei costretto a ricominciare ogni giorno.

Flashback
Agosto 2008, Rimini, Meeting per l'amicizia tra i popoli.
Incontro la mia amica Anna pochi passi fuori dalla mostra. Lei, invece, é in fila per entrare.
Mi chiede: "sei stato alla mostra, vero? Ti é piaciuta?".
Ha un sorriso sul volto che mi provoca e costringe la mia gioia a fuoriuscire: "E' bellissima! - le rispondo - questa é la lezione che nessuno mi ha mai fatto all'università".
"L'avevo capito dal tuo sguardo...", mi risponde. Ed io mi rendo conto di quanto la Bellezza che ho incontrato si sia resa evidente: ha attraversato due volti che si sono incrociati per caso e li ha messi gioiosamente in relazione tra di loro.
Saluto Anna, un po' frettoloso: devo raggiungere mia moglie e i miei figli.
Ma, ne sono certo, la mostra piacerà anche a lei.

Misurare il desiderio infinito?
Cosa c'é di commovente e coinvolgente in una mostra?
Tante cose. Incontrare testimoni, ad esempio. Come il prof. Pierre Mertens, che, parlando della figlia, nata con la spina bifida e morta pochi anni dopo, dice: "la cosa più bella che mi é capitata nella vita é mia figlia Liesje". I medici che Pierre incontra sono spietati quando Liesje nasce: secondo loro non dovrebbe neppure vivere; ma quella figlia, nei pochi anni vissuti, li smentisce: la gioia che dispensa a chi le sta intorno riempe di significato ciò che accade ed aiuta ciascuno a vivere meglio il proprio destino. Conclude Mertens: "all'inizio della storia c'era stato un giovane dottore che quando aveva finito di rispondere alla mia ultima domanda é rimasto lì. In quel momento di silenzio ci siamo incontrati. Consolare vuol dire non fuggire, restare con qualcuno a dispetto del disagio profondo che il dolore e la sofferenza dell'altro provocano in noi. Come terapeuta, io riconosco una cosa fondamentale: i momenti più intensi non sono quelli dove io mi presto alle interpretazioni, ma quelli in cui sono il testimone della sofferenza più profonda. Quando io sperimento in me il grado d'intolleranza. Quando mi obbligo a restare. Perché per chi soffre, il fatto di sentire che non é solo, in questi momenti di disperazione, apre le porte alla speranza. Mol ed io abbiamo la coscienza che é Lies che ci aiuta a superare i momenti difficili".


Mario Melazzini, primario oncologo e docente universitario, é un altro testimone. Ammalato di SLA dal 2003 ed oggi alimentato con sondino, dopo essersi misurato con l'impotenza della medicina aveva persino considerato il suicidio assistito; oggi benedice la vita e ti dice: "avendo la fortuna di una mente lucida e consapevole, mi sono reso conto di quanto possa ancora dare e ricevere a chi mi vive accanto, alla famiglia, agli amici, ai colleghi di lavoro, al mondo esterno. L'essere conta più del fare".

Ma di cosa parla questa mostra? Di qualità della vita. Possibile? E allora cosa c'entrano personaggi così? Stiamo parlando di sofferenza estrema e allora dov'é la qualità?
"La qualità della vita" é il sottotitolo della mostra. Il titolo é "misurare il desiderio infinito?".
Allora cosa stiamo cercando di fare?
Forse stiamo provando a conoscere anche ciò che é mal misurabile, ma non per questo svuotato di significato. Allora il problema é che occorre un altro metodo ed ecco il perché dei testimoni.
Qualcuno cioé che ti racconti che, al contrario di quanti affermano che "non si può vivere così", si può provare invece ad entrare in un universo differente. E magari scoprire che anche il nostro concetto di qualità può subire variazioni. Paola Marenco, ematologa, curatrice insieme a Giorgio Bordin della mostra, dice nell'introduzione, citando il carnet de voyage di Marie Michèle Poncet, pittrice che racconta la propria malattia attraverso i quadri: "lo sguardo acuto dell'artista sulla realtà vede ciò che accade nella circostanza concreta e risalendo fino a cercarvi un significato, scopre come la malattia possa non essere ostacolo alla vita, ma vibrazione di un pezzo di vita più intensa, di un'attesa più importante". Fino al punto di affermare che "ciò che accade di nuovo attraverso la malattia" é "qualcosa che prima non c'era e che fa della vita "un'altra, più bella".

A questo punto, allora, si può capire anche Felice Achilli, primario cardiologo, che, sempre nell'introduzione alla mostra, parla di Eluana Englaro: "Eluana Englaro é nel suo letto, probabilmente una suora la sta guardando, come si guarda una figlia, le sta riassettando le lenzuola. Non ha una malattia inguaribile, non ha bisogno di farmaci, non é una malata terminale: ma ha bisogno di qualcuno che l'assista, le dia da bere e da mangiare. Ma qualcuno ha detto che non é vita, il padre ha chiesto una stanza d'ospedale in affitto, perché il suo "medico curante" possa sospenderle idratazione ed alimentazione, possa sottrarle vita. Una vita indegna, che (dicono) lei non avrebbe desiderato vivere. Una vita senza qualità adeguata".



Epilogo
Cosimo Calò é stato per anni il medico di Chiara Lubich.
E' morto tanti anni prima di lei; ora ha incontrato nuovamente la sua amata paziente lassù.
C'é un libro che racconta la sua vita, che porta come sottotitolo: "la misura dell'amore: senza misura". Scrive Silvano Cola, l'autore: "la parola del Vangelo che ha illuminato Chiara ed ha travolto nella sua scia migliaia di persone, che si consacrano all'unità per rispondere alla preghiera di Gesù: "che tutti siano uno", era diventata anche per lui l'Ideale da incarnare nella vita. Ma Cosimo é medico, il suo mondo sono i pazienti. E' qui il suo banco di prova. E una luce particolare lo investe, come una grazia ad hoc, come una scoperta: "Io in loro" (Gv, 17,22). Gesù é nei malati, negli angosciati, nei volti sfigurati da qualsivoglia sofferenza. Ecco la sua nuova deontologia medica: "Ho scoperto Lui nell'uomo".

Chi vedeva Cosimo visitare gli ammalati - si racconta nel libro - aveva talora l'impressione di vedere Maria accanto al Figlio.
Anche San Riccardo Pampuri visitava così.
Anche i medici che fanno compagnia a padre Aldo Trento nella sua clinica per malati terminali in Paraguay sono così.
Tanti colleghi che conosco provano a vivere così, nel loro semplice, banale, faticoso e stressante lavoro quotidiano di medici ospedalieri e medici di famiglia.
Oggi io voglio stare con loro e riscoprire le ragioni più profonde della mia professione.
C'é un desiderio d'infinito nel mio cuore e nulla lo potrà sconfiggere, ormai.
Non ci riusciranno i giudici, con le loro inique sentenze, né primari ed amministratori di ospedale che non l'abbiano ancora compreso.
Ma, soprattutto, c'é la compagnia di un Dio, protagonista di un amore infinito, in quel suo misterioso grido sulla croce - "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?" - grido che ha ridato significato e speranza ad ogni dolore.
E c'è la compagnia di Maria, il suo Stabat ai piedi della croce, anche lei "sicurezza della nostra speranza", come disse un giorno Don Giussani.
E questo mi basta per andare avanti.



Fonti citate:
1) catalogo della mostra di Medicina e Persona: "Misurare il desiderio infinito? La qualità della vita", edizioni Itaca (http://www.itacaedizioni.it/) .
Per una descrizione della mostra vedasi anche questo link.
2) Silvano Cola - "Cosimo Calò. La misura dell'amore: senza misura" - Città Nuova ed.

2 comments:

Anonymous said...

pensa che avevo prestato il catalogo della mostra e mi è tornato indietro domenica, così ieri sera prima di dormire ho riletto alcune pagine.
È un argomento stringente che non lascia scampo, la domanda di bontà, giustizia, bellezza diventano prepotenti, anche perchè ho delle persone molto prossime malate.
La tua provocazione mi fai chiedere che non appena nel dolore, nella prosperità e nella salute sia così vivace la stessa tensione, con le "solite" cose e con le "solite" persone di tutti i giorni... perchè non sono solite!
buon lavoro dottore!

factum said...

Cosa devo aggiungere. hai detto tutto tu.

"Ho scoperto Lui nell'uomo". oltre al desiderio che è il cuore dell'uomo sto scoprendo anch'io i tratti di Cristo che si mostrano quando l'uomo è se stesso.