Thursday, October 08, 2009

LA LISTA DI FAMIGLIA



It was so many years ago.

La cameretta di un adolescente e dentro una poltrona rovinata, quella del salotto vecchio di casa che non si vuole buttar via. Seduto sopra, un ragazzo con un libro in mano, un po' malinconico, con tanti sogni nel cassetto; é inverno e fuori fa freddo, il cielo grigio e tanta fantasia, così che la mente vola sin laggiù, il Greenwich Village di New York. Quel ragazzo legge la biografia di Bob Dylan, quella di Anthony Scaduto tradotta in italiano e, mentre legge, ascolta Desire, il nuovo disco appena uscito, e quelli più vecchi, quelli dei sessanta, del folksinger di protesta, che poi lui, Dylan, quando mai aveva protestato per qualcosa, che aveva sempre e soltanto camminato dritto per la sua strada. Emozioni, desideri e fantasie che, a distanza di anni, quel ragazzo divenuto uomo ricorda ancora come fosse ieri; ma che non prova più, perchè ora non riesce ad immaginare il Village fuori dalla finestra di casa. Quell'uomo, adesso, prova emozioni differenti, certamente più vere ed anche più esaltanti, perché la realtà é molto meglio della fantasia, ma non riesce più a riprodurre quella sensazione, l'impressione d'esser lì con loro, Bob e Woody, il sabato pomeriggio a casa Gleason, seduti sul divano cantando canzoni, mentre tracciano, inconsapevolmente, un pezzo insostituibile di storia della musica americana.
"(...) Woody chiedeva di lui in continuazione: "Viene oggi il ragazzo? Quando torna il ragazzo?" Si era stabilito un legame tra il morente, creatore della musica popolare moderna e il ragazzo che faceva la sua imitazione, che lo ammirava e che, presto, l'avrebbe superato. Quando non c'era troppa confusione parlavano tra di loro; Bob aspettava pazientemente che il malato formasse le parole che faticavano tanto a venire. Woody non poteva affrontare una conversazione con più persone: si emozionava, balbettava, perdeva il filo del discorso e non riusciva a mettere insieme le parole. Ma con Dylan accovacciato in un angolo ai piedi del suo giaciglio, parlava. Una domenica, una delle prime, Bob gli cantò sottovoce Song To Woody e tutti gli altri, presenti nella stanza, s'interruppero per ascoltarlo. Ricordano che Woody fece un gran sorriso e disse: "E' molto bella, Bob. E' dannatamente bella". Sembrava che Dylan fosse entrato nel suo cuore. Più tardi, dopo che tutti erano andati via, Woody disse ai Gleason: "Quel ragazzo ha una gran voce. Forse non andrà molto lontano con le canzoni che scrive, ma canta come nessuno" (Anthony Scaduto, Bob Dylan - la biografia, Arcana ed.)


Yesterday

In una sola cosa si era sbagliato Woody: il ragazzo, con quelle canzoni, sarebbe andato lontano davvero e quella sera, una sera d'ottobre del 1992, al Madison Square Garden di New York, erano arrivati in tanti a ringraziarlo per tutto questo. Uno stadio stracolmo di gente e sul palco tanti di quegli artisti che altro che Woodstock o Live Aid. Tutti a cantare non le loro canzoni, ma le sue, e spesso anche piuttosto bene, con quel geniaccio di G.E. Smith a fare da direttore artistico e da splendida chitarra solista dovunque ce ne fosse stato bisogno. E poi lui, Dylan, che era arrivato alla fine, in imbarazzo almeno quanto doveva esserlo stato le prime volte che aveva visto Woody, disteso in un triste letto d'ospedale del New Jersey alle prese con quella brutta malattia degenerativa, la corea di Huntington. Chitarra acustica a tracolla ed armonica al collo, passo impacciato come sempre, aveva tirato fuori ancora quella canzone, Song To Woody, il colpo da maestro, l'attenzione ancora una volta spostata da sé; perché non é una celebrazione questa, in fondo, é solo ed ancora un altro pezzo della mia strada e allora non chiedetemi di cantare Blowin' In The Wind, niente hits da classifica questa sera, non questa sera almeno.


Today
Quella sera, ad interpretare una bella versione di You Ain't Goin' Nowhere, briosamente country e con la chitarra di G.E. pronta ad accettare il duello con le loro voci, era salito sul palco un trio di belle ragazze: Shawn Colvin, Mary Chapin Carpenter e Rosanne Cash. Le aveva presentate l'uomo in nero, The man in black Johnny Cash e le telecamere non si erano lasciate sfuggire il tenero bacio del papà alla figlia, un attimo prima che l'esibizione avesse inizio.
La performance di Rosanne rassicurava sul fatto che l'eredità di Johnny fosse in buone mani, ma lui era già preoccupato da tempo per una figlia "ossessionata dai Beatles, dal rock californiano del sud e dalla pop music". E' per quello che, a 18 anni le aveva consegnato una lista con le 100 canzoni country a suo giudizio più importanti di tutti i tempi, dicendole: imparale, figlia mia, cos'altro posso lasciarti; faccio il cantante e questa é la mia vita, life and life only; questo fa parte della mia educazione.




Una faccenda di famiglia, insomma, ma una faccenda importante se Rosanne, a distanza di anni, tira fuori di nuovo quella lista e ne estrae dodici canzoni per il primo album di covers della sua carriera, con un secondo disco, a quanto pare, già pronto nel cassetto. Il risultato é assai pregevole, con qualche ospite d'eccezione a duettare con lei per l'occasione. L'onnipresente Springsteen, naturalmente, ma anche Elvis Costello, Jeff Tweedy e l'inatteso Rufus Wainwright. Le canzoni, naturalmente, sono tra le più belle in assoluto, ma la lista, si sa, l'ha fatta Johnny e sulla qualità di scelta certamente non avevamo dubbio alcuno. Ce n'é per tutti i gusti: Hank Williams, Jimmie Rodgers, The Carter Family, Merle Haggard e Patsy Cline; e non poteva mancare quella Girl From The North Country, con cui Dylan e Cash duettarono nelle memorabili sessions del 1969. Alla fine si rivela un disco estremamente piacevole, un altro album pronto a scaldare le prime sere fredde d'autunno, magari seduti intorno ad un tavolo con gli amici ed una buona bottiglia di vino o di whisky a fare compagnia.


Lunga vita dunque alla famiglia Cash, di cui, tra l'altro, Rosanne parla abbondantemente nel suo blog (http://thelist.tumblr.com/). Anche la bella figlia Chelsea, che ha appena finito di registrare il suo primo disco, pare cominci ad avventurarsi sui sentieri pericolosi della buona musica, senza peraltro lasciarsi condizionare troppo dalla madre ("preferisco starne fuori e lei desidera che io faccia così", dice Rosanne), dalla quale peraltro vorrebbe dei consigli da madre e non da musicista ("come é possibile avere una carriera di successo senza avere per forza anche una vita pubblica?" "Lo sapessi anch'io..." é la risposta...).
Tant'é, auguri di cuore anche a Chelsea, chissà che oltre alla lista non continui a tramandarsi anche il talento di nonno Johnny; per ora mamma Rosanne si accontenta di vedere la figlia indossare splendidamente e volentieri i suoi vecchi stivali da cowboy...


3 comments:

Maurizio Pratelli said...

Wow! Ascoltalo quando salirai la sponda orientale del lago di Como. Io intanto corro a cercalo, grazie!

Maurizio Pratelli said...
This comment has been removed by the author.
Paolo Vites said...

lo voglio

(wonderful post, btw)