Friday, November 06, 2009

IT'S ALL GOOD

"I don't give a shit who plays bass"
(Bob Dylan a Kenny Aaronson, 1989)


Un giorno, quando il Never Ending Tour sarà finito, spero che scriva le sue Chronicles anche lui. L'uomo inossidabile, sempre tranquillo e sorridente al fianco di Bob Dylan da vent'anni a questa parte, da quando cioé sostituì al basso Kenny Aaronson, costretto a lasciargli il posto nella band per intraprendere la battaglia, fortunatamente vinta, con un melanoma. Tony Garnier, qualche giorno fa a Chicago, in una sera di Halloween in cui a Dylan dev'essere venuta in mente la sua performance di mille anni fa a Philadelphia (1), non se l'é sentita di stare al gioco col maestro in vena di scherzi, che ha tentato di fargli imitare Willie Nelson sul palco, dopo essere riuscito nell'intento con quella statua di sale di Stu Kimball, presentato come fosse Tom Waits e che poco c'é mancato che Tom Waits sembrasse sul serio. Stu aveva sfoderato una bella voce blues, cantando il primo verso di Jesus Gonna Be Here, prima di tornare diligentemente al suo posto, là in fondo, a fare lavoro di tappeto ritmico, con quella chitarra senza lode e senza infamia in mano. Ma Tony no, lui non se l'é sentita ed ha continuato come sempre a far da sfondo a Bob, lui che ha visto musicisti di ogni tipo girargli incontro, lui che, probabilmente, conosce Dylan meglio di chiunque altro e che proprio per questo non ne parla mai con nessuno.
Chi, invece, sa stare al suo posto, ma, allo stesso tempo, si fa capace di stuzzicare senza pari il bardo, é quel fenomeno di Charlie Sexton, che, oltre ad aver fatto finalmente comparire una chitarra nello show, sta facendo ritrovare a Dylan energie, umorismo e desiderio che sembravano assopiti per sempre, senza possibilità di recupero alcuna.


Qualche giorno fa, le note del concerto di Chicago fuoriuscivano allegramente dal mio stereo, a fronte di una giornata che allegra non sembrava essere stata proprio per nulla. Ci sono giorni in cui ti sei impegnato a fondo nel fare la tua parte: amare il prossimo, piangere con chi piange, ridere con chi ride; l'hai fatto al punto tale che, lo sguardo calato ogni momento dentro ciò che accade, giunto alla fine della giornata ti sembra d'aver perduto l'amore che hai donato e di provare solo stanchezza, quasi fosse polvere accumulata su di te, polvere che offusca la visuale, toglie il senso a ciò che hai fatto e stai facendo, appesantendoti e facendoti smarrire. Ma ci sono giorni - tanti, troppi - in cui non riesci affatto ed il tuo fare é uno sfuggire, un trascinarsi stancamente, una tristezza di fondo dalla quale sembra sia quasi impossibile uscire.
Forgetful Heart, messa lì dentro quel concerto, ti coglie e ti spiazza all'improvviso, in un momento così, al ritorno dal lavoro, in cui l'orizzonte del tuo sguardo sembra non andare più in là di quei pochi metri che separano il muso dell'auto dal pezzo di strada che riesce a intravedere là davanti. La voce di Dylan ti prende di sorpresa, intonata e appassionata come non mai, su un tappeto sonoro lento, discreto ed avvolgente, che inesorabilmente si fa spazio un po' alla volta, in mezzo a pensieri così densi che nemmeno una furibonda Highway 61, cantata di lì appresso, sarebbe riuscita in qualche modo a spazzar via.
Quella canzone, che parla di cuori perduti e smemorati ("forgetful heart / lost your power of recall / every little detail / you don't remember at all"), é la tua canzone, canta i versi del tuo cuore. Perché tutto questo é quello che sei tu, nel tuo giudicare la realtà condizionato dai fantasmi della mente, dalle emozioni che hai provato e dall'esito delle vicende che hai vissuto, successi e fallimenti che, come diceva quello là, in fondo non sono altro che maledetti impostori.
No, non é l'esito ciò che ti definisce, ma un cuore che recuperi la memoria del proprio desiderio. Un cuore appassionato, che sappia leggere, dentro le vicende del momento, l'agire di un Altro che lega le cose tra di loro con un filo rosso che sa di Destino buono.
E' in quell'istante - quando la percezione di ciò che é l'Amore riesce a farsi strada nuovamente - che quella stessa strada si allarga all'improvviso e, scossa la polvere di dosso, fa sì che lo sguardo riesca a vedere ogni cosa da vicino e da lontano. "It's all good", canta Bob Dylan, ed é tutto buono, tutto davvero, senza che nulla, ma proprio nulla, debba essere censurato dalla tua giornata.
Quando sei arrivato in fondo, ed il cammino é giunto sino a casa, ti accorgi che anche oggi un Altro si é fatto largo per misericordia dentro la tua vita, attraverso la canzone di un amico.
Vecchio disgraziato di un Bob Dylan, che ci volevi proprio tu, questa sera, a fare da strumento per ridestarmi dal mio solito e inguaribile torpore.



Note :
(1) "I have my Bob Dylan mask on, I'm masquerading," Bob Dylan, Philarmonic Hall, Philadelphia, "The Halloween Concert", 31 ottobre 1964.

6 comments:

Maurizio Pratelli said...

posto che un monumento al Dylan lo abbiamo già fatto, mi metto in pista per Charlie Sexton e per il nostro Doctor. "House of Fame"!!!!

anna said...

Oh Fausto, Tony Garnier lo amo da quando l'ho visto la prima volta (chi si ricorda quando?), è prorprio come l'hai descritto! grazie anche per i due video, strepitosa Forgetfull Heart.
a presto!

Paolo Vites said...

tony garnier, il più inutile bassista della storia del rock. simpatico però

Fausto Leali said...

Ha sempre fatto da interfaccia tra Dylan e il resto della band, però: non é un dettaglio

anna said...

no, non è un dettaglio!
; )
buona settimana

Fausto Leali said...

buona settimana a te, anna, é sempre un piacere sentirti!