Monday, June 28, 2010

MEET ME IN THE MORNING

Ore d'inverno sotto un sole d'estate
libere divagazioni dentro le armonie di profondi boschi oscuri


Non te le aspetteresti mai. Liriche così scoscese, dentro suoni e melodie così armoniosi.
Ma forse deve essere così, in fondo, perché la musica di qualità, come la vita, non può arrestarsi in superficie, scalfire solo i primi strati del tuo cuore. Deve essere capace, invece, di scavare nel profondo, laggiù dove risiedono le più segrete gioie, ma anche i dolori e le contraddizioni.
La musica dei Deep Dark Woods sa avvolgerti in questo modo, a poco a poco, dopo la sorpresa del primo istante. Sussulti del cuore che arrivano stretti a ridosso di un incanto, creato da dolci ed avvolgenti armonie vocali, chitarre elettriche dal suono acustico, le note di un organo Hammond che non dovrebbe mai mancare. Persino certe divagazioni chitarristiche soliste, degne dei Grateful Dead, ma peraltro mai stucchevoli, non stonano affatto nel perfetto equilibrio d'insieme che i dischi di questo gruppo - specie l'ultimo lavoro, quel Winter Hours uscito nel 2009 - sanno creare intorno a sé e nell'animo profondo di chi ascolta.
Ma poi ci sono i testi di quelle canzoni. Liriche ripide e e scoscese come certa poesia capace di ferirti sempre il cuore. Perché quei versi, quelle liriche, escono dritte dai profondi boschi oscuri. Ed infatti la tristezza, la malinconia, ma anche il gusto per le murder ballads appare evidente sin dai primi versi di Farewell, dove si parla niente meno che dell'omicidio di una ragazza un tempo amata. E d'altra parte di fronte a titoli come The Gallows, All The Money I Had Is Gone, The Sun Never Shines, capisci subito che con questi ragazzotti canadesi la questione non é l'allegria della natura e dei prati in fiore, ma le contraddizioni dell'animo e del cuore, sino alla sofferenza ed al male di vivere, quasi che la musica possa farsi tramite espressivo di una sorta di nuovo esistenzialismo, espresso come resistenza umana sotto forma di voci e di chitarre.

Eppure - ma non é un caso, certamente - é solo in mezzo alla natura che riesco ad ascoltare fino in fondo queste canzoni.
Così mi capita spesso d'incontrarle alle prime luci del mattino, quando i palazzi ed il cemento cominciano a diradarsi e sfilacciarsi e, a poco a poco, il verde degli alberi ed i campi di riso e di granturco cominciano prepotentemente a farsi strada; quello é spesso il momento di mettere il disco dentro il lettore di quell'auto che ha il solo scopo di portarmi il più possibile lontano dal frastuono e dalla violenta frenesia della città, troppo propensa ad attanagliare senza pietà alcuna tutta la mia fragilità. Ed è così, allora, che, in questi giorni, la musica dei boschi d'inverno finisce per accompagnare il mio cammino sotto il sole, sia esso fatto di tristezza o di allegria e siano le melodie delle canzoni in assonanza o meno con le forme più sottili di ogni mia emozione. E poco importa se ci sia o non ci sia una concordanza, quando é un senso di armonia quello che avvolge alla fine i miei pensieri e - perché no - anche la mia preghiera quotidiana.

Se i Deep Dark Woods appaiono tra gli ultimi nuovi maestri di un genere, quell'indie-folk, che sembra andare di questi tempi così per la maggiore, a me piace pensare alla possibilità di considerare questo stesso genere in un modo del tutto personale. Considerare, cioè, il folk come nuova modalità di riappropriarsi di una natura - radici e tradizioni - che in qualche modo continua ad abbracciare il proprio figlio, quel rock'n'roll gatto dalle sette vite, sempre capace di cadere, ma poi anche di rialzarsi e non morire. E considerare l'essere indie semplicemente come sentirsi individuo dentro una comunità, unico e irripetibile ma non per questo isolato, perché l'unità nella distinzione é la sola possibile salvezza di un'umanità sempre più affranta e desiderosa di redenzione anche quando non lo sa.
"Le isbe russe - scrisse Vasilij Grossman nel suo capolavoro Vita e Destino - sono milioni, ma non possono essercene - e non ce ne sono - due perfettamente identiche. Ciò che é vivo non ha copie. Due persone, due arbusti di rosa canina, non possono restare uguali, é impensabile... E dove la violenza cerca di cancellare varietà e differenze, la vita si spegne". E allora che il cielo protegga da qualunque violenza i nostri giovani musicisti canadesi, perché la vita della loro vena artistica possa non spegnersi, almeno per molto tempo ancora.


2 comments:

Maurizio Pratelli said...

un bel ritorno al futuro!

Paolo Vites said...

eh