Friday, September 14, 2007

RISCHIO EDUCATIVO

Tardo pomeriggio, quasi ora di cena: la fine della giornata si avvicina ed é stata intensa.
Carico l'ascensore di sacchetti della spesa. Poco più in là, sul pianerottolo, i bambini giocano e ridono, nell'attesa di salire in casa.
Incontro la signora del piano di sopra, quella sempre arrabbiata, frettolosa e che non ride mai - ma proprio mai - che ti verrebbe voglia di provare a fargli il solletico qualche volta, per vedere se ne é ancora capace.
"Un attimo di pazienza signora, porto su la spesa e le libero subito l'ascensore..."
"Certo che deve essere dura con tre figli vero ? Non so come fate. Comunque gridare con uno o con tre in fondo é la stessa cosa..."
Rimango lì, accenno un sorriso, ma non so cosa rispondere.
Forse mi ha sentito qualche volta, chissà.
Ma io so solo che, anche se sono stanco e preferirei starmene in poltrona col giornale in mano, in questo momento non ho nessuna intenzione di gridare con i miei figli.
Mi vengono incontro tutti e tre quando torno giù con l'ascensore vuoto ed io mi faccio felice della loro presenza.


Ma cosa vuol dire educare i propri figli ?
E' questo che s'intende oggi: un'autorità - non certo autorevolezza - che si esprime con il "gridare" ?
Certo che la domanda é difficile.
Qualche giorno fa li guardavo mentre eravamo tutti a tavola: uno di quei rari momenti in cui la confusione ed il frastuono lasciano miracolosamente posto a prolungati istanti di sguardi e gesti rallentati, dolci ed intensi insieme. Istanti in cui il tempo sembra fermarsi e percepisci solo uno sguardo largo, sgombro di fatiche e difficoltà, pieno solo d'amore.

Ma é sufficiente l'affetto che provi per loro a educarli ? Oppure occorre un "amore educativo" ?
Quell'amore che "sa penetrare come sguardo spirituale" e che fa sì che "solo a questo livello di relazione-comprensione l'educatore provi la commozione profonda per la grandezza di questo essere" (1) .

Allora la questione é seria. E in un mondo in cui qualsiasi attività é sempre più complessa, certificata, raggiungibile dopo adeguati corsi di preparazione professionale, questo rimane un mestiere che nessuno t'insegna a scuola. Eppure é quello a cui tieni di più, per cui valgono l'impegno e la fatica quotidiani, l'amore donato gratuitamente, la sofferenza patita senza lamento.
In questo lavoro ti impegni senza sosta. E quando le circostanze ti chiedono di più non protesti come se te l'avesse chiesto il capo e non vai dai sindacati a contestare il lavoro straordinario non pagato.
In più, come se non bastasse, non ti senti neppure troppo bravo.
Capita invece che ti colgano alla sprovvista.
E' come se t'interrogassero su un argomento che non avevi studiato.
Ti sentivi pronto, pensavi davvero di farcela e invece no, i tuoi figli ti spiazzano.
E poi ci si mette anche il tuo limite, l'essere talvolta fuori posto, preso nel momento sbagliato: "adesso non ho tempo, sono stanco, dopo ne parliamo, dopo vediamo..."
E così, in fondo, capita di sentirti anche un po' indifeso.
Ma poi l'entusiasmo ritorna e con esso il desiderio di dare tutto te stesso, la ferma volontà e nel medesimo tempo la certezza di farti sempre capace di ricominciare, in ogni momento.

E allora come fare ? Si sentirebbe il bisogno di un metodo semplice e sicuro, che magari non dia tutte le risposte, ma che ti faccia sentire sufficientemente a posto, sulla strada giusta quasi in ogni circostanza.
A volte mi aiuta il pensiero che educare sia fondamentalmente un'esperienza di condivisione.
Mettere in comune, cioé, con i propri figli, quell'esperienza di misericordia che io e mia moglie vediamo compiersi quotidianamente in ogni momento; e quella di farli partecipi di quell'avventura che é la nostra vita continuamente rigiocata in una compagnia di persone amiche in Cristo.
Compagnia, cioé, che é capace di rimettersi in discussione, nel verificare le proprie scelte, piccole o grandi che siano, alla luce di una Presenza che diviene luce che rischiara notti oscure fatte di mille dubbi e tentennamenti.


Ma perché ciò accada veramente - e che cioé i figli siano davvero partecipi di tutto questo - occorre che essi non rimangano spettatori, ma, essendo amati gratuitamente, divengano attori di quest'avvenimento.
Uno sguardo così su di loro é solo quello che non ha pretese, che si fa nulla spostando ogni ambizione, che li considera primi prossimi ed é disposto a morire a se stesso pur di "farsi uno".
Uno sguardo, alla fine, che é amore per la libertà.
Libertà di rispondere affermativamente ad una proposta, che é significato per la vita.
Una scommessa, forse, ma sulla quale vale la pena di puntare tutto, come spiega Franco Nembrini, in un suo recente intervento:

"(...) tutto il segreto dell'educazione mi pare sia questo: i tuoi figli ti guardano; quando giocano non giocano mai soltanto, qualsiasi cosa facciano in realtà con la coda dell'occhio ti guardano sempre, e che ti vedano lieto e forte davanti alla realtà é l'unico modo che hai di educarli.
Lieto e forte non perché sei perfetto (tanto non lo crederanno mai, e come é patetico e triste il genitore che cerca di nascondere ai figli il proprio male), ma perché sei tu il primo a chiedere e ad ottenere ogni giorno di essere perdonato. (...) Questa solidità, questa certezza che hai tu e che vivi tu, con i tuoi amici, con tua moglie, é l'unica cosa di cui hanno bisogno i figli per essere educati, é l'unica cosa che anche senza saperlo ci chiedono, e su questa testimonianza poggia la loro speranza. Si tratta di scommettere tutto sulla loro libertà
". (2)


Note:
"Il rischio educativo" é naturalmente il titolo dello splendido libro di Luigi Giussani, del quale ho, con impertinenza, sfruttato il titolo.
(1) M. De Beni - "Il coraggio di essere educatori oggi" - Nuova Umanità, XXIX (2007/2) 170, pp. 241-251
(2) Il testo integrale del contributo di Franco Nembrini ("Gesù é il Signore. Educare alla fede, alla sequela, alla testimonianza") al Convegno ecclesiale diocesano del giugno 2007 presso la basilica di S.Giovanni in Laterano, é disponibile a questo indirizzo:

1 comment:

Paolo Vites said...

grazie del link! (e del post, ovviamente...)