Friday, December 12, 2008

E.R. - MEDICI (E AMICI) IN PRIMA LINEA


lettera di padre Aldo Trento,
Asuncion, Paraguay, 7 dicembre 2008

Cari amici,

ho appena celebrato la Messa nel corridoi del blocco B dell’ospedale davanti alle porte aperte delle camere per ammalati terminali di cancro. In una ci sono due giovani e bellissime ragazze madri. Nell’altra due uomini molto più giovani di me. Con me un piccolo gruppo di fedeli: infermiere, medici, parenti e alcuni ammalati di AIDS, che lentamente, dopo essere stati portati qui per morire e avere un posto nel cimitero, grazie all’amore, alla tenerezza, senza togliere nulla agli antiretrovirali ecc.., si stanno recuperando. Non dimenticherò mai quanto mi disse un giovane paziente, morto di AIDS: “padre, il 90% me lo dona l’amore, la tenerezza, il 10% le medicine, la scienza”.

(padre Aldo celebra il matrimonio di Dionisio, malato terminale)

Comincio la Messa e vedo il primario, dottor Mazzotti, e il fisiatra, dottor Solente, avvicinarsi a un ammalato, uno dei due uomini, piuttosto grave, anzi, direi in condizioni gravissime. Si chiama Giovanni. Gli alzano la testa, gli danno da bere, lo guardano con tenerezza. Mi commuovono. Per di più il Vangelo del giorno parla di Gesù che dopo aver curato molte persone ha pietà della folla che da tre giorni non mangia e ha paura che tornando a casa svengano per il cammino (che tenerezza, che coccole, che uomo il mio Gesù…e che pugno nello stomaco per il mio borghesismo) e, quindi, decide di compiere la famosa moltiplicazione dei pani e dei pesci. Giovanni un povero uomo con un gravissimo cancro alla gola e che ormai gli ha totalmente mangiato la bocca e il naso. È arrivato da noi in uno stato di putrefazione. Dalla sua bocca vengono estratti centinaia di vermi bianchi che gli escono anche dal naso. Sono le larve depositate dalle mosche quando stava nell’immondezzaio dove viveva. Gli infermieri ogni giorno lo puliscono, gli tolgono questi vermi, con un amore che mi aiuta a capire il Vangelo del giorno. Così come il primario e il fisiatra in quel momento mi rimandano alla scena del Vangelo. Solo dove Cristo è un fatto è possibile questa dolcezza, questo sorriso perfino nel togliere i vermi dalla gola, dalla bocca, dal naso di un povero Cristo- perché Giovanni è Gesù in putrefazione, è Gesù, capite- facendogli sentire che lui non coincide coi vermi, che lui non dipende dal cancro, né dal marcio della sua gola, ma è relazione con il Mistero, è “io sono Tu che mi fai” o “anche i capelli del mio capo sono contati”. Terminata la Messa, con gli occhi rossi mi avvicino e gli do un bacio con grande tenerezza e gli dico: “Giovanni, sai che Dio ti ha creato per la felicità e che non c’è nulla, neanche la tua condizione che impedisca la verità di quanto ti dico…allora preghiamo”. E piano, piano i suoi occhi si illuminano e seguono la mia bocca, ancora sana e che scandisce la preghiere.

Alla sera ho la "scuola di comunità": “l’obbedienza è ad una amicizia”. Giussani parla del rapporto fra Gesù e il Padre, lì nel calvario. Mi diventa drammaticamente semplice leggere e spiegare quel testo…tutti i giorni lo vedo nei fatti che accadono nella clinica, in me. “Amici posso dirvi una cosa? Sapete che i miei ammalati quando neanche la morfina conta, è sufficiente che mi metta al loro fianco e dica con loro una preghiera o “Io sono Tu che mi fai” e il gemito o il lamento si trasforma in supplica e il loro viso si illumina?”

(scuola di comunità: padre Aldo ed i suoi amici ammalati)


Bisogna credere nel miracolo “anche i capelli del capo sono contati”. Guardate Celeste…e non ha capelli ed i medici ce l’avevano mandata per seppellirla…ma avete visto nella foto che vi ho mandato che a fianco ha il santino di Giussani? Ebbene domenica farà la prima comunione. Quell’uomo che aveva rischiato tutto in questo povero depresso, oggi nella clinica continua rischiando tutto ancora su di me, mostrandomi la potenza della sua presenza, della sua santità. Non avrei mai pensato che lui avesse voluto questa opera che a me neanche per la testa mi era passata l’ipotesi e l’ha voluta perché la compagnia che mi aveva fatto continuasse attraverso di me a quanti per il mondo sono “immondezza”. Questo ospedale è per me la verifica quotidiana di quella compagnia, di quella corrispondenza al mio, e dei miei ammalati, bisogno di felicità, di amore, di giustizia, di bellezza. Bisogno che le centinaia di mail che ricevo mi ricordano ogni giorno. “E di fronte a Gioele è evidente per me che è un Mistero, perché non è nelle nostre mani, ma mi chiedo perché tanta sofferenza? Perché Dio che ci fa lo permette? Come non viverlo solo come un’ingiustizia? Come può la vita avere senso anche così? Come si può stare di fronte a I….. ? E per lui cos’è il centuplo? Mi viene in mente l’apostolo Pietro che disse “Tu solo hai parole di vita eterna, se andiamo via da Te, dove andremo?” Ma a volte non mi basta, mi sembra una consolazione, cosa l’ aiuta e le permette di vivere tutto ciò diversamente? Cosa vuol dire quando dice che in loro vede la Presenza del Mistero che per lui sono Gesù che è il Paradiso qui in terra?”

(il miracolo di Celeste continua : ora, dopo tante sofferenze, sorride al fotografo mentre gioca)

Sono le domande drammatiche di una mamma davanti al bambino che soffre incessantemente…e sono mille le domande simili che mi fanno ogni giorno per mail da ogni parte del mondo.

E non potrei rispondere senza partire dalla mia vita, dal mio nesso con la realtà che tutti i giorni mi interroga, mi rimanda al Mistero di cui consiste, tutto consiste. Ma sarebbe astratto tutto questo se non partissi dal Crocifisso che mi guarda nella mia scrivania, che abbraccia l’intero ospedale con le sue enormi dimensioni. La parete della clinica che da sulla palestra sostiene un enorme crocifisso lì fuori per ricordare a tutti la Sua Presenza reale nelle 27 persone che occupano le camere nell’attesa di morire.

Il Crocifisso, il Risorto, la Chiesa, la comunione dei santi, il corpo mistico di Cristo sono il contenuto di ogni dolore, di ogni gemito, per cui quando il piccolo Victor geme tutto il corpo di Cristo, io, te, vibra di quel dolore redentore, quando Celeste sorride tutti noi sorridiamo. Guardare l’ammalato attraverso l’Ostia che porto tre volte al giorno in processione è scoprire, vedere, toccare con mano il sacrificio Pasquale, che si rinnova continuamente nella nostra vita. Il perché, i mille perché entrano nel cuore dell’io, che coincide con il suo desiderio di felicità, di cui il dolore, sembra una contraddizione, è la condizione per raggiungerla. Certo se non partissimo dall’incontro con Cristo, visibile nel Primario, nel medico, nell’infermiera, ecc.. dal modo con cui guardiamo l’uomo che soffre, dire queste cose è impossibile. Non si può vivere il morire senza essere afferrati dal Suo sguardo. Però, anche stamattina, quando dopo aver terminato la processione mi hanno urlato “Edith è morto”, gli occhi di tutti si sono arrossati, ma la certezza che lei era già di fronte a Cristo, alla Sua Misericordia, ci ha riempito di letizia. L’avevo appena benedetta con l’ostensorio e i suoi rantoli si mescolavano con il “T’adoriamo Ostia Divina, t’adoriamo Ostia d’amor”. Muore subito…ed era giovane, “mangiata” dal cancro, però non un gemito, non una espressione di disperazione. Se n’è andata mentre i figli, piangendo, la guardavano già nell’abbraccio di Gesù.

Vivere il morire: ecco questo è il punto. E solo la realtà, che come dice S. Paolo è Cristo, lo permette e allora tutte le nostre domande incontrano nel Crocifisso, nel Mistero Pasquale, la sola risposta. Mistero a cui Cristo, la compagnia, ci educa continuamente, facendoci vivere la memoria attraverso i sacramenti, la liturgia, la compagnia.

Con affetto
P.Aldo

1 comment:

Anonymous said...

Ho conosciuto questa fraternità grazie al bellissimo Blog di Anna Vercors. Sono arrivato sul tuo per caso ed è bello vedere quanti danno risalto all'opera di Don Aldo. Ti abbraccio. Francesco (Cocodix)