Monday, December 29, 2008

HAPPY NEW YEAR

Buon anno ai fratelli d'arme ed ai compagni di strada,
a chi ha già un posto nel mio cuore,
e a tutti quelli che l'avranno domani.
A chi, incrociando il mio cammino, 
ha condiviso gioie oppure dolori.
A chi ha deposto speranze o croci lungo il mio sentiero,
a chi, con me, ha volto lo sguardo verso il Destino.
Che sia un buon anno per tutti, nessuno escluso,
per chi mi legge, spesso e volentieri
e per chi, per sbaglio, é passato da qui.

Stay with me, 'still on the road.
And may you stay
forever young




Jackson Browne - The Load Out / Stay (live 1978)

Sunday, December 21, 2008

NOTTE SPLENDIDA

Nebbia lungo la strada ed un velo di tristezza nella mente.
La città si allontana, mentre l'auto scorre via veloce ed il buio é interrotto solo ogni tanto da qualche luce ed addobbo natalizio, appeso a balconi di case intraviste da lontano.
Non ho voglia di andar via, ma il mio posto, anche questa notte, è altrove.
Sconosciuti e sofferenti, anch’essi lontani da dove volevano restare. Ci si ritrova tutti là, in mezzo a mura di pronto soccorso o di stanze di reparto d’ospedale.
Mentre percorro la strada, c’è Claudio con me, a farmi compagnia.
La sua voce, forte e sicura, esce dalle casse dell’auto, insieme alle note di una chitarra, compagna sublime della malinconia che sprigionano le sue canzoni.
Ma quella di Chieffo é una malinconia speciale, distante mille miglia da quella stupida ed insulsa di cui sono impregnate mille canzoni, ascoltate in altri tempi ed altri luoghi.
La sua è immersa dentro un desiderio struggente, nella nostalgia di momenti vissuti nel vero, dove il sostegno alla tua esistenza é quello che hai sentito giungere da un Altro, Colui che ti dice che è bella la strada.
Non riesco a fare a meno di una musica così. Diventa colonna sonora dei miei pensieri, mi aiuta a ritrovare le orme di un cammino che mi pare d'avere talvolta perduto.
Una musica così, spesso, diviene anche preghiera.

Otto del mattino, i pensieri ancora ingarbugliati nei sogni, mentre, distrattamente, accendo il mio computer in casa.
Nella posta in arrivo, la lettera di padre Aldo é già lì che mi aspetta: sembra quasi sapere che ho bisogno di lei, come primo pensiero del giorno.
Mi sento un po' stanco, ma Aldo lo é di più; eppure va avanti e non molla, non smette mai di fare i conti con la realtà, compresa la sua depressione, quella che lui chiama "quella bestia sullo stomaco" : “la realtá é amica e amica sempre”. Non mi stancheró mai di ripeterlo, neanche oggi, quando il mio stato d´animo é nero come il carbone e un peso – cosa che conosco e con cui convivo da 20 anni - mi opprime lo stomaco, facendomi sudare il doppio del normale. Il caldo é a 48º, la vita esige, gli ammalati, i bambini, i vecchi, la colonia estiva, le catechesi nei diversi settori, la costruzione del nuovo ospedale, le risposte alle email che sono per me una gioia, tutti i momenti contati....tutto dentro un deserto interiore e per di piú quella bestia sullo stomaco che é da 20 anni di casa....ma tutto questo non solo non mi determina, ma mi spinge a ripetere all´infinito “Io sono Tu che mi fai”, a guardare in ogni istante a Cristo"
Come potrei fare a meno di un amico così ? Uno che ti dice che "obbedire alla realtá é questa cosa semplice: fare i conti con la vita e riconoscere che é un Altro che ti conduce".
Non potevo trovare un modo migliore per cominciare anch'io la mia giornata.


I ragazzi delle elementari della Zolla avanzano ordinati in processione, per le vie del quartiere, un freddo quartiere della zona fiera di Milano.
In testa gli attori; poi i lettori, gli insegnanti e il coro; e infine i genitori. Uno spettacolo di armonia ed incredibile intensità: é la sacra rappresentazione della natività di Gesù.
Mentre passiamo di fianco all'adiacente scuola pubblica elementare, scorgo volti alle finestre e vedo bidelle corse fuori, là in cortile: chissà - penso - forse, se potessero, vorrebbero essere anche loro lì con noi.
Un vigile in moto ci segue e ferma il traffico dove c'è bisogno. Anche lui sembra avere uno sguardo un po' speciale; anche lui sembra scorgere qualcosa di diverso, che entra all'improvviso nella routine del suo lavoro, ogni giorno in mezzo alle strade.
Non riesco a rimanere indifferente davanti a uno spettacolo così. Nulla di ostentato: é solo Bellezza quella che procede ordinata, a poco a poco. Lacrime di commozione che solcano il tuo viso mentre vedi tuo figlio e gli altri bambini. Cuore che finalmente si riscalda, dentro la percezione che Colui che sta per nascere é germe di vita nuova. Preludio, alba di un nuovo giorno, il Verbo di Dio che si fa carne e giunge ad impastarsi ancora una volta con i sentieri grigi delle esistenze di uomini troppo spesso ciechi, sordi e dal cuore inaridito.


Ecco, ora sono arrivato al lavoro e Claudio ha finito la sua ultima canzone.
La fatica é sparita prima ancora d'iniziare, perché é una notte splendida quella che mi attende.
L'attesa non é stata vana, ancora pochi giorni e Lui verrà.
E' "notte di miracoli, di grazia e di stupore": perché perdere ancora tempo in ciò che appesantisce il cuore?
Scendo dall'auto, é buio ed il freddo mi avvolge. Campi coperti di brina, sembra incredibile che un giorno qualcosa possa germogliare quaggiù.
Ma é così, davvero così: Dio si é curvato su di noi ed ora é tempo di gioia.
Non ve ne accorgete?

"... la vita di una grande quercia é data da un elemento talmente piccolo da sembrare insignificante: la gemma.
La Vita di Dio si é manifestata, in tutta la Sua grandezza, attraverso la gemma di un bambino piccolo: Gesù.
Quella stessa Vita, adesso, continua a far fiorire la nostra vita..."

(dall'introduzione all'Avvento di padre Angelo, ai bambini della Zolla)



Monday, December 15, 2008

BIGLIETTO D'AUGURI


People get ready
Theres a train a-coming
You dont need no baggage
You just get on board
All you need is faith
To hear the diesels humming
Dont need no ticket
You just thank the lord



Caro blog,
permetti due parole? Sai di quelle "cont el coeur in man" - col cuore in mano - come si dice da noi a Milano.
Il fatto é che questo diario - non avertene a male - é sempre stato un trucco per parlare con Lui e così lo sfrutto spesso, figurati adesso, che é quasi Natale.
L'altro giorno ero in cucina - la cucina del reparto d'ospedale in cui lavoro - e c'erano con me due colleghi.
Parlavano dei figli, del fatto che gli sembrano viziati, che le cose non sono più come una volta, insomma erano proprio insoddisfatti. "Ci vorrebbe una bella guerra - ha detto uno a un certo punto - che rimette tutte le cose a posto".
E sai una cosa, caro blog ? Quei due colleghi non erano mica gente che sta male, che fa fatica ad arrivare a fine mese, magari pure con la famiglia distrutta, dal proprio male o dalle avversità. No, tutt'altro: é gente che sta bene. Eppure si lamenta.
Che poi, la guerra, quella non ha mai fatto bene a nessuno, anzi. E di guerre "belle", francamente, tra tutte quelle che ho studiato o di cui ho sentito parlare, non me ne ricordo proprio neanche una.

E allora, caro blog, cosa vogliono dire queste cose che ti scrivo?
Che io sono diverso da quei colleghi, che sono più bravo di loro?
Macché, figurati, sono in tutto e per tutto uguale a loro, sapessi quante volte mi lamento anch'io senza motivo.
Anzi, a pensarci bene, i miei lamenti dovrebbero darti scandalo, visto e considerato tutto il bello da cui mi vedi circondato.
Perché una famiglia e tanti amici, che camminano con te in cordata, non sono mica un dettaglio nella vita. Ma, anche e soprattutto, perchè sento di appartenere a Lui e scusa se é poco tutto questo.

Così - ti dicevo - siamo quasi a Natale e parlando di Lui - Quello che é nato a Natale - dicono che anche quest'anno torni, a dispetto della crisi economica, del relativismo etico, di tutti coloro che preferirebbero che se ne stesse lì dov'è, tanto - lo affermano spesso - non hanno bisogno del suo aiuto: hanno deciso che possono arrangiarsi benissimo da soli.
E invece no, pare che arrivi un'altra volta, in quel modo, poi, così poco affascinante, da povero di quei poveri che non se li fila più nessuno, sfrattato da casa, alloggiato in una stalla.
Ma perché, mi domando, si ostina a disturbarci, a distoglierci dalla nostra vita tranquilla, fatta di pretese di successi ed infinite aridità interiori ?
Non sarebbe meglio se ci lasciasse in pace, Lui e la Sua assurda abitudine di condividere tutto con noi, di arrivare perfino a morire, con quella misura d'amore così strana, il Figlio che prova l'abbandono del Padre lassù, in cima a quell'orribile croce?

Mah, ti dirò, in certi momenti non Lo capisco proprio: in fondo noi non ci meritiamo tutto questo.
Noi che facciamo di tutto per scappare, per riempirci la testa d'altro, per censurare dalla nostra vita il dolore, il sacrificio, l'amore donato gratuitamente.
E invece no, Lui giunge di nuovo, insiste ad occuparsi di noi, come se fossimo qualcosa che Gli appartiene.
Non sarà questo, alla fine, il senso del Suo tornare?
Ce ne siamo andati per la nostra strada, come figli che, abbandonati i genitori, hanno voluto provare a fare da sé, dimenticandosi dell'amore che li ha generati.
Eppure quell'Amore non li ha mai dimenticati. E' solo andato avanti ad amarli così, nel silenzio e nel rispetto della loro libertà.
Ma non ha mai smesso di sostenerli.

E così, anche quest'anno, a Natale, Cristo viene ad abitare in mezzo a noi.
Non si é ancora stancato di farlo, a quanto pare.
So, people get ready - state pronta, gente - c'é un treno che arriva ed é meglio saltar su.
Non é difficile e non serve il bagaglio, neanche quello dei nostri peccati.
Non occorre neppure il biglietto, quel che basta é solo un po' di fede.
Ma voi non preoccupatevi troppo di trovarla, pare che anche di quella si occupi Lui in persona e che la regali a coloro che la desiderano. Dev'essere il Suo dono, questo, e d'altra parte mica é strano, Natale é proprio tempo di regali.
Comunque non pensate a ricambiare subito, verrà il tempo anche per questo.
Per ora state solo attenti ad una cosa: a salire su quel treno in arrivo, prima che se ne vada altrove.
E senza pensarci troppo su: non c'è niente di più bello che sperimentare su di sè la gratuità.
Quella del figlio di Dio, ancora una volta in mezzo a noi.

People get ready
Theres a train a-coming
You dont need no baggage
You just get on board
All you need is faith
To hear the diesels humming
Dont need no ticket
You just thank the lord

("People Get Ready", di Curtis Mayfield, 1964
nel video é cantata da Rod Stewart, con Jeff Beck)



Auguri di Buon Natale, a tutti coloro che passeranno da qui!
con un abbraccio forte,
Fausto

Friday, December 12, 2008

E.R. - MEDICI (E AMICI) IN PRIMA LINEA


lettera di padre Aldo Trento,
Asuncion, Paraguay, 7 dicembre 2008

Cari amici,

ho appena celebrato la Messa nel corridoi del blocco B dell’ospedale davanti alle porte aperte delle camere per ammalati terminali di cancro. In una ci sono due giovani e bellissime ragazze madri. Nell’altra due uomini molto più giovani di me. Con me un piccolo gruppo di fedeli: infermiere, medici, parenti e alcuni ammalati di AIDS, che lentamente, dopo essere stati portati qui per morire e avere un posto nel cimitero, grazie all’amore, alla tenerezza, senza togliere nulla agli antiretrovirali ecc.., si stanno recuperando. Non dimenticherò mai quanto mi disse un giovane paziente, morto di AIDS: “padre, il 90% me lo dona l’amore, la tenerezza, il 10% le medicine, la scienza”.

(padre Aldo celebra il matrimonio di Dionisio, malato terminale)

Comincio la Messa e vedo il primario, dottor Mazzotti, e il fisiatra, dottor Solente, avvicinarsi a un ammalato, uno dei due uomini, piuttosto grave, anzi, direi in condizioni gravissime. Si chiama Giovanni. Gli alzano la testa, gli danno da bere, lo guardano con tenerezza. Mi commuovono. Per di più il Vangelo del giorno parla di Gesù che dopo aver curato molte persone ha pietà della folla che da tre giorni non mangia e ha paura che tornando a casa svengano per il cammino (che tenerezza, che coccole, che uomo il mio Gesù…e che pugno nello stomaco per il mio borghesismo) e, quindi, decide di compiere la famosa moltiplicazione dei pani e dei pesci. Giovanni un povero uomo con un gravissimo cancro alla gola e che ormai gli ha totalmente mangiato la bocca e il naso. È arrivato da noi in uno stato di putrefazione. Dalla sua bocca vengono estratti centinaia di vermi bianchi che gli escono anche dal naso. Sono le larve depositate dalle mosche quando stava nell’immondezzaio dove viveva. Gli infermieri ogni giorno lo puliscono, gli tolgono questi vermi, con un amore che mi aiuta a capire il Vangelo del giorno. Così come il primario e il fisiatra in quel momento mi rimandano alla scena del Vangelo. Solo dove Cristo è un fatto è possibile questa dolcezza, questo sorriso perfino nel togliere i vermi dalla gola, dalla bocca, dal naso di un povero Cristo- perché Giovanni è Gesù in putrefazione, è Gesù, capite- facendogli sentire che lui non coincide coi vermi, che lui non dipende dal cancro, né dal marcio della sua gola, ma è relazione con il Mistero, è “io sono Tu che mi fai” o “anche i capelli del mio capo sono contati”. Terminata la Messa, con gli occhi rossi mi avvicino e gli do un bacio con grande tenerezza e gli dico: “Giovanni, sai che Dio ti ha creato per la felicità e che non c’è nulla, neanche la tua condizione che impedisca la verità di quanto ti dico…allora preghiamo”. E piano, piano i suoi occhi si illuminano e seguono la mia bocca, ancora sana e che scandisce la preghiere.

Alla sera ho la "scuola di comunità": “l’obbedienza è ad una amicizia”. Giussani parla del rapporto fra Gesù e il Padre, lì nel calvario. Mi diventa drammaticamente semplice leggere e spiegare quel testo…tutti i giorni lo vedo nei fatti che accadono nella clinica, in me. “Amici posso dirvi una cosa? Sapete che i miei ammalati quando neanche la morfina conta, è sufficiente che mi metta al loro fianco e dica con loro una preghiera o “Io sono Tu che mi fai” e il gemito o il lamento si trasforma in supplica e il loro viso si illumina?”

(scuola di comunità: padre Aldo ed i suoi amici ammalati)


Bisogna credere nel miracolo “anche i capelli del capo sono contati”. Guardate Celeste…e non ha capelli ed i medici ce l’avevano mandata per seppellirla…ma avete visto nella foto che vi ho mandato che a fianco ha il santino di Giussani? Ebbene domenica farà la prima comunione. Quell’uomo che aveva rischiato tutto in questo povero depresso, oggi nella clinica continua rischiando tutto ancora su di me, mostrandomi la potenza della sua presenza, della sua santità. Non avrei mai pensato che lui avesse voluto questa opera che a me neanche per la testa mi era passata l’ipotesi e l’ha voluta perché la compagnia che mi aveva fatto continuasse attraverso di me a quanti per il mondo sono “immondezza”. Questo ospedale è per me la verifica quotidiana di quella compagnia, di quella corrispondenza al mio, e dei miei ammalati, bisogno di felicità, di amore, di giustizia, di bellezza. Bisogno che le centinaia di mail che ricevo mi ricordano ogni giorno. “E di fronte a Gioele è evidente per me che è un Mistero, perché non è nelle nostre mani, ma mi chiedo perché tanta sofferenza? Perché Dio che ci fa lo permette? Come non viverlo solo come un’ingiustizia? Come può la vita avere senso anche così? Come si può stare di fronte a I….. ? E per lui cos’è il centuplo? Mi viene in mente l’apostolo Pietro che disse “Tu solo hai parole di vita eterna, se andiamo via da Te, dove andremo?” Ma a volte non mi basta, mi sembra una consolazione, cosa l’ aiuta e le permette di vivere tutto ciò diversamente? Cosa vuol dire quando dice che in loro vede la Presenza del Mistero che per lui sono Gesù che è il Paradiso qui in terra?”

(il miracolo di Celeste continua : ora, dopo tante sofferenze, sorride al fotografo mentre gioca)

Sono le domande drammatiche di una mamma davanti al bambino che soffre incessantemente…e sono mille le domande simili che mi fanno ogni giorno per mail da ogni parte del mondo.

E non potrei rispondere senza partire dalla mia vita, dal mio nesso con la realtà che tutti i giorni mi interroga, mi rimanda al Mistero di cui consiste, tutto consiste. Ma sarebbe astratto tutto questo se non partissi dal Crocifisso che mi guarda nella mia scrivania, che abbraccia l’intero ospedale con le sue enormi dimensioni. La parete della clinica che da sulla palestra sostiene un enorme crocifisso lì fuori per ricordare a tutti la Sua Presenza reale nelle 27 persone che occupano le camere nell’attesa di morire.

Il Crocifisso, il Risorto, la Chiesa, la comunione dei santi, il corpo mistico di Cristo sono il contenuto di ogni dolore, di ogni gemito, per cui quando il piccolo Victor geme tutto il corpo di Cristo, io, te, vibra di quel dolore redentore, quando Celeste sorride tutti noi sorridiamo. Guardare l’ammalato attraverso l’Ostia che porto tre volte al giorno in processione è scoprire, vedere, toccare con mano il sacrificio Pasquale, che si rinnova continuamente nella nostra vita. Il perché, i mille perché entrano nel cuore dell’io, che coincide con il suo desiderio di felicità, di cui il dolore, sembra una contraddizione, è la condizione per raggiungerla. Certo se non partissimo dall’incontro con Cristo, visibile nel Primario, nel medico, nell’infermiera, ecc.. dal modo con cui guardiamo l’uomo che soffre, dire queste cose è impossibile. Non si può vivere il morire senza essere afferrati dal Suo sguardo. Però, anche stamattina, quando dopo aver terminato la processione mi hanno urlato “Edith è morto”, gli occhi di tutti si sono arrossati, ma la certezza che lei era già di fronte a Cristo, alla Sua Misericordia, ci ha riempito di letizia. L’avevo appena benedetta con l’ostensorio e i suoi rantoli si mescolavano con il “T’adoriamo Ostia Divina, t’adoriamo Ostia d’amor”. Muore subito…ed era giovane, “mangiata” dal cancro, però non un gemito, non una espressione di disperazione. Se n’è andata mentre i figli, piangendo, la guardavano già nell’abbraccio di Gesù.

Vivere il morire: ecco questo è il punto. E solo la realtà, che come dice S. Paolo è Cristo, lo permette e allora tutte le nostre domande incontrano nel Crocifisso, nel Mistero Pasquale, la sola risposta. Mistero a cui Cristo, la compagnia, ci educa continuamente, facendoci vivere la memoria attraverso i sacramenti, la liturgia, la compagnia.

Con affetto
P.Aldo

Sunday, December 07, 2008

AMICI CIOE' TESTIMONI

(padre Aldo Trento, coi suoi bambini della parrocchia San Rafael di Asunciòn, durante il grest estivo)


Un commento dell'amico Alessandro, sul suo bellissimo blog "Amici di Simone", alla lettera di padre Aldo pubblicata anche sul mio, mi offre spunto per una riflessione personale.
Qual é il rischio di fronte a testimonianze così forti, come queste che ci arrivano dal Paraguay ?
Il primo é l'indifferenza, né più ne meno ciò che fanno i nostri media occidentali, censurando ostinatamente la cronaca bianca, ritenendola non interessante, incapace di fare notizia, o, peggio, persino fastidiosa nella propria intrinseca e contagiosa positività.
Ma un rischio ancora più grande é che chi é in grado di riconoscere il bene possa sentirlo lontano da sé, non applicabile alla propria vita.
Scrive Alessandro, riferendosi al "miracolo" dell'opera di padre Aldo: "Veramente un miracolo! Più miracoloso è il fatto che uno come me possa dire "anch'io voglio vivere così, con questa tensione e questo sguardo al Mistero" e non dire solo "pero' che bravo sto Padre Aldo...".
Ecco, proprio questo é il punto, l'unica cosa davvero importante.
Il fatto, cioé, che un avvenimento così riguardi seriamente la mia vita di ogni giorno.
Scrivo queste righe all'indomani di una delusione personale, vissuta sul mondo del lavoro e fatta d'incomprensione sul mio operato, cioè di piccola ma sensibile persecuzione.
Il rischio che un fatterello così aumenti l'ira, scoraggi, distolga l'attenzione da ciò che conta, insomma, abbassi la "tensione" e "lo sguardo al Mistero", é un pericolo troppo grande perché possa essere preso sottogamba.
Ma é ancora padre Aldo a tracciare la strada, ad esempio quando parla del suo incontro con Don Giussani: "Lui mi ha abbracciato dicendomi: "la tua vocazione ti ha portato dentro una storia grande!". E mentre io volevo raccontargli tutti i miei problemi e i miei dubbi, lui mi ha detto una cosa importantissima: "Dio ti abbraccia non nonostante ciò che ti succede e nonostante il tuo limite, ma dentro ciò che ti succede, ti afferra dentro il tuo limite". Quella di don Giussani é una posizione sconvolgente, se penso a tutto il moralismo di tanti tra noi sacerdoti. Così lui mi accolse e mi prese con sé, dandomi sempre paternità, giudizio e amicizia" (1).


Quella paternità é ciò che a volte cerco affannosamente, specie quando le cose vanno storte (proprio come il fatterello di questi giorni!) e si dispongono nella vita come io non vorrei. Ancora, qualche giorno fa, ripassare davanti alla tomba del don Gius, al Monumentale, era questo tipo di ricerca, unendo ad essa la preghiera intensa capace di colmare la difficoltà di non poter unire quel gesto al pellegrinaggio da Chiara Lubich, colei che mi é madre, ma che fisicamente si trova a Rocca di Papa e quindi non raggiungibile come lo é il don Gius, magari al mattino presto, all'indomani di una notte di guardia in ospedale.
Ma a questi gesti, sempre capaci di donare pace e significato alla mia esistenza, oggi si é aggiunta una consapevolezza in più.
Ed é quella che incontrare testimoni, cioé amici, implica la certezza che di quella testimonianza e di quell'appartenenza fai inderogabilmente parte anche tu, con tutto il tuo vivere, senza che nulla di ciò che ti accade debba esser censurato.
Questa responsabilità e questo sentirmi implicato é il nuovo vigore della mia giornata.
Non perché oggi mi senta migliore di ieri, ma perché la nuova consapevolezza é, come diceva il don Gius, che "la mia responsabilità é per l'unità, fino alla valorizzazione della minima cosa buona che c'é nell'altro".
E' una misura d'amore quella che mi contraddistingue, Amore per la mia persona innanzitutto - appartengo a Cristo! - ma che si riverbera verso la Sua presenza in ogni fratello che mi si para innanzi.
Ma tutto (com'é importante questo!) dentro quel limite, "dentro ciò che ti succede", perché Lui "ti afferra" dentro lì.
In questo il mio quotidiano viene salvato anche oggi, anzi oggi più di ieri.
L'avere intorno amici, cioè testimoni, come padre Aldo, come Alessandro, come tanti altri ancora, non fa che tenere costantemente desto questo desiderio.
Cosa potrei desiderare di più?


Note:
(1) tratto da "Cronache dal nuovo mondo - Paraguay, la missione di padre Aldo Trento", di Roberto Fontolan, ed. San Paolo.

Friday, December 05, 2008

CRONACHE DAL PARAGUAY


Mi giunge oggi questa lettera di un amico: padre Aldo Trento, da Asuncion, Paraguay.
Commentarla significa sciuparla: preferisco posarla qui e lasciare che possa allargare il cuore ad altri - di passaggio da questo blog - così come é accaduto a me.
La metto a fianco d'immagini, un video che narra di un luogo che sa di paradiso, la parrocchia San Rafael, la "cittadella dell'amore in Paraguay".



Cari amici,
Siamo convinti o no che esiste la Provvidenza e che il principio dell'economia è il Santissimo Sacramento e l´Adorazione?
Questa mattina presto stavo con gioia, come tutte le mattine, davanti al Santissimo esposto, in adorazione, quando suona il cellulare: “Pronto sono padre Aldo”.
“Padre sono la deputata Olga Ferreira… desidero comunicarti che il parlamento ha votato all'unanimitá di portare il finanziamento ordinario della Clinica da 1.270.000.000 a 1.400.000.000. La tua amica ed “ex alunna” senatrice Zulma Gomez, presidente della commissione “salute” del Senato, ha vinto.  Padre sono felice e anche se é ancora notte, volevo comunicarti la mia gioia. Un abbraccio e buona giornata”

Chi ha orecchi intenda. Sono tornato davanti al Santissimo commosso, con le lacrime. Una volta ancora Lui ha risolto tutto, sì perché Lui e solo Lui è il Parrocco, l'economo, il direttore sanitario, il capo.
E pensare che la senatrice Zulma Gomez, quando era nostra alunna alla facoltá di medicina di Villarrica, per mangiare cercava nei rifiuti delle immondizie qualche pezzo di carne. Che grande storia ho vissuto con lei, povera ragazza con 4 figli a 25 anni sola, e adesso é quello che é.
E per di piú se avessimo chiesto 2000 milloni invece di 1.300 lei li avrebbe ottenuti tutti. Mi ha detto: “il prossimo anno, padre Aldo, mi arrangio io a fare le domande al Parlamento e chiederó 2000 milloni. Significa 400.000 dollari”
"Con questa somma copriamo il 60% delle spese ordinarie della Clinica.  Mentre la nuova Clinica ci costa 1.300.000 dollari, che la Provvidenza certamente anche attraverso di te ci fará avere”.
Ieri sera c´è stato qui con noi il vicepresidente della Repubblica, Dr. Franco. Ha partecipato alla Messa, letto la lettura, ha vissuto con allegria l'atto conclusivo della scuola e ha mangiato con i miei bambini.
Ha detto “ma Padre, qui si vede cosa vuol dire educazione…non ho mai visto una cosa simile”.
Davvero Giussani é vivo e il rischio educativo é palpabile, presente… prenderlo sul serio cambia tutto e tutti.
Grazie Gesú e Madonnina cara per questi regali.
Peró senza dolore, senza adorazione continua tutto ció sarebbe impossibile. 
E´Lui, solo Lui che fa….CHIARO!
L´universitá serve ma solo dentro questa posizione, questa certezza.
Con affetto.

Padre Aldo


Tuesday, December 02, 2008

PRONTO SOCCORSO




Si stava profilando come una giornata troppo dura.
Turno di "urgenze" e chiamate conseguenti da ogni dove; telefono che squilla, cicalino che suona: c'era bisogno in pronto soccorso, nei reparti di degenza e la gente era già lì anche in ambulatorio, che aspettava da un bel po'. Insomma, mi stavano cercando dappertutto, praticamente da ogni angolo dell'ospedale. Ed ovunque era richiesta anche premura, così che cominciavo a desiderare fortemente il dono dell'ubiquità, per riuscire in qualche modo a tirare sera.
"Non ce la posso fare", mi dicevo, ed allo scoraggiamento iniziava a subentrare vera e propria ribellione alla realtà.
Quindi cominciavo pure ad arrabbiarmi.
Per giunta ci si era messo pure quel collega (per la verità un amico): neanche lui mi aveva risparmiato la chiamata. Così, quand'ero arrivato lì, in pronto soccorso, non avevo fatto nulla per nascondere il malessere e il disagio e gli avevo detto di non poterne più.
Lui non aveva fatto nulla per scrollarsi di dosso tutto il mio malumore - pare che gli amici veri facciano così - e si era fermato, guardandomi per un attimo fisso negli occhi. "Vatti a leggere la prefazione di Rose sul libro "E' mezzanotte dottor Schweitzer", mi aveva detto.
E poi, non contento, ci aveva pure piazzato un bel sorriso, lasciandomi lì come un cretino.

Così, alla sera, ero andato a leggermela, quella benedetta prefazione (la si trova a questo link) e, riaffacciatomi col mio sguardo alla finestra della realtà, avevo capito da dove poter ricominciare per vivere bene all'indomani.
Ricominciare, peraltro, non partendo dalla presunzione di essere cambiato, ma dalla nuova consapevolezza di un'appartenenza, capace di rendere nuovo il quotidiano.
Rose, infermiera a Kampala, in Uganda e che ha a che fare ogni giorno coi malati di AIDS, spiega molto bene di cosa si tratta.
Io, per quel che mi riguarda, devo solo ricordarmi che sì, si può vivere così, ed é davvero tutta un'altra cosa.
Devo anche dirlo a lui, al mio amico, quando capita e ringraziarlo per il suo richiamo.
Magari quando mi chiamerà la prossima volta.
Dal pronto soccorso.

"Solo appartenendo si risponde al bisogno"
di Rose Busingye

"Ciò che è accaduto al dottor Schweitzer accade anche a noi oggi. Era un grande uomo, ma il suo problema - che è il problema di tutti gli uomini - è che partiva da sé, mentre il punto è che l’uomo originariamente appartiene. Siamo così pieni di distrazioni che non sappiamo nemmeno cosa ci fa alzare al mattino. Le nostre azioni sono dettate o dall’istinto o da interessi politici/pratici o, come diceva don Giussani, a volte «viviamo dormendo». Proprio don Giussani una volta mi ha detto: «Vai allo specchio e guarda, guarda quella faccia tonda. Guardala e pensa: “Questa faccia me l’ha data un Altro”. (...) Nel cuore del dottor Schweitzer c’è una grande generosità, quella che abbiamo tutti, anche nel nome di Gesù. Anch’io ho vissuto così. Andavo in ospedale perché volevo guarire i pazienti che incontravo. Volevo lavorare per la presenza di Gesù nei malati, negli orfani, nei poveri... Finché le cose andavano bene dicevo: «Che bello Gesù!». Poi le cose cominciarono a non andare come volevo: i malati che cercavo di guarire morivano, i poveri non erano soddisfatti di ciò che davo loro, gli amici - cosa peggiore - erano scontenti. Non andava bene niente! Sono andata in crisi e ho pensato: me ne vado. Ho cominciato a vivere e lavorare veramente quando qualcuno mi ha detto: «Tu sei mia». In quel momento ho incominciato a intravvedere un significato per la mia vita. Una luce ha cominciato a illuminare la realtà tutta. Ho iniziato a scoprire la verità della mia stessa esistenza. Da quel momento è nata un’attrattiva, un’affezione, una tenerezza verso di me e verso gli altri.
Ho cominciato a lavorare e a vivere veramente quando ho saputo rispondere concretamente alla domanda: «Di chi sono, a chi appartengo?». Quando questa domanda si è incarnata in facce precise, con nome e cognome, paradossalmente sono diventata libera, appartenendo. Quando sei libera finalmente puoi stare di fronte alla realtà senza paura, puoi affrontare tutto perché sai di chi sei. Chi è libero non pretende più dagli altri, perché ha già tutto. (...) solo nel momento in cui ho scoperto me stessa, cioè ho riconosciuto la presenza di Cristo vivo e non l’immagine che avevo di Lui, ho smesso di correre dietro le cose. Questa verso Gesù era una corsa che a fine giornata mi lasciava estenuata e scontenta. Ora, invece, nell’appartenenza ho scoperto me stessa e ciò che posso dare agli altri è una sovrabbondanza del mio rapporto con Cristo (...) . Sono andata in crisi quando, come il dottor Schweitzer, ho pensato che tutto dipendesse da me. Se l’uomo non vive questa appartenenza, riempie il vuoto della propria esistenza con cose da fare, che alla fine sono solo un fascio di reazioni. L’attrattiva originale si riduce nella pretesa di misurare la realtà; allora tutto diventa moralismo, l’insicurezza la fa da padrona. Quello che io ho di più, rispetto al dottor Schweitzer, è questa esperienza di appartenenza a Cristo, un legame che mi definisce per sempre. È lo stesso sguardo che aveva padre Carlo, che stabilisce il contenuto e il metodo del mio lavoro: comunicare la commozione per la sconfinata grandezza dell’esistenza di ciascuno e offrire quella compagnia al Destino che ha abbracciato e abbraccia la mia vita. Ciò che è mancato al dottor Schweitzer è proprio non capire che non si può aiutare l’altro se non si appartiene.