Saturday, October 24, 2009

FALL IN LOVE


Autunno 1989, Bob Dylan ritorna a New York City. Quattro concerti al Beacon Theatre, dopo quelli splendidi al Radio City Music Hall dell'anno prima. Bob Dylan che ha abbandonato le arene e i grandi stadi, che non ha più dietro a sé Tom Petty e gli Heartbreakers o i Grateful Dead e che ora suona con pochi musicisti - chitarra, basso e batteria - in piccoli teatri. E' iniziato il neverending tour, ma nessuno, probabilmente neanche lui, sa ancora che quello é uno show che non ha mai fine.
Dylan che, sul palco, sembra più crepuscolare e scontroso che mai: sono scomparsi i sorrisi e le risate che regalava alle platee su e giù per gli States nell'estate del 1986. Erano momenti più felici quelli di allora? Sembrerebbe proprio di no: "Avevo fatto diciotto mesi di tournée con Tom Petty and The Heartbreakers. Sarebbe stata l'ultima. Mi sentivo tagliato fuori da ogni forma d'ispirazione. Qualunque cosa fosse stata presente all'inizio, era scomparsa o si era raggrinzita. Tom stava dando il meglio di sé ed io stavo dando il peggio. Non riuscivo a superare gli ostacoli, tutto era a pezzi. Le mie stesse canzoni mi erano divenute estranee. Non avevo la capacità di toccare i loro nervi scoperti, non riuscivo a scendere sotto la loro superficie. Il mio momento era passato. Nel mio intimo, il mio canto mi risuonava vuoto e io non vedevo l'ora di ritirarmi e piegare le tende. Adesso con Petty si trattava di arrivare alla fine del mese, dopo di che avrei detto basta. Ormai ero, come si dice, sulla china discendente. Se non ci stavo attento rischiavo di ritrovarmi a gridare al muro, pieno di furia e con la bava alla bocca. Lo specchio aveva fatto un giro su se stesso e io vedevo il futuro, un vecchio attore che rovista nei bidoni della spazzatura fuori dal teatro dove una volta aveva trionfato" (1)


Il mistero della performing art di Bob Dylan risale dunque sul palco di New York il 10 ottobre del 1989, per una serie di concerti attesi, la "promessa" di sentire dal vivo le canzoni di Oh Mercy, lo splendido nuovo disco, uno dei suoi più belli di sempre. Ma cosa é successo a Dylan? "Invece di essermi perso chissà dove alla fine di una storia, capii che in realtà ero all'inizio di una nuova. Potevo mettere da parte la mia decisione di andare in pensione. Sarebbe stato interessante ricominciare da capo, mettendo me stesso al servizio del pubblico. Sapevo che ci sarebbero voluti anni per perfezionare e rifinire questo nuovo idioma, ma grazie alla mia fama e alla mia reputazione l'opportunità si sarebbe presentata". (2)
Il Bob Dylan che sale on stage quella sera é impacciato, barcolla paurosamente, alla fine di ogni canzone non si sa mai se riuscirà a partire per quella successiva; troppe bottiglie di whiskey nel camerino, dicono, ma probabilmente non c'é solo questo; eppure il genio é intatto, l'incedere dello show magico e imprevedibile. Finché arriva Like A Rolling Stone. Essenziale, dura, precisa e senza fronzoli, fino a quell'armonica, messa lì improvvisata, proprio al termine della canzone. Soffia, aspira, succhia; cerca la fine e non riesce a trovarla, sembra un bambino che sta imparando a suonare. E' un anticlimax, é imbarazzante, ma é la musica che cerca l'espressione di se stessa. G.E. Smith lo capisce al volo: sempre un passo avanti agli altri musicisti della band, lo segue da vicino con la sua chitarra, fa da sfondo perché accada ciò che ha da accadere. Finché la canzone risale, percorre territori inesplorati, momenti sospesi in aria senza tempo, la gioia e l'eccitazione degli spettatori in sala, la canzone che canta se stessa, canzone "come un sogno che si cerca di rendere vero", canzoni "come strani paesi dove bisogna entrare" (3). Paesi in cui Bob, per fortuna, entra quella sera senza esitare.


Per qualche strano motivo Bob Dylan sembra spesso ritrovare in autunno energie nuove ed inattese. Era accaduto in quelli shows del Beacon Theatre, ma la cosa si era ripetuta in altre occasioni. Il fall tour del 1991, per esempio, aveva visto un gruppo di musicisti scalcinati trasformarsi d'incanto in una solidissima rock band, capace d'intendersi alla perfezione con un artista che sembrava aver ritrovato se stesso dopo essersi stancamente trascinato sui palcoscenici di mezzo mondo per tutto l'anno. Anche Oh Mercy aveva ridestato in autunno il desiderio compositivo di Dylan, che lui stesso pensava d'aver perduto per sempre: "Avevo fatto tutto quello che si doveva per arrivare dov'ero, lo scopo era raggiunto e non avevo più ambizioni al riguardo (...). Non ero capace di sforzarmi a scrivere, ero convinto che non avrei scritto più niente, e comunque non avevo bisogno di altre canzoni". (4)
Autunno così denso di malinconia e forse per questo così caro ad un musicista che sembra non poterne mai fare a meno. La malinconia di Oh Mercy é la malinconia di New Orleans, quella che "pende cronica dagli alberi", ma quella di cui "non ci stanca mai". C'é malinconia anche nei concerti del tour autunnale del 1999 e del 2000, tra i migliori in assoluto di sempre. Ce n'é un sacco in quelli del 2002, quando Bob regala quasi ogni sera splendide interpretazioni dei classici di Warren Zevon, che, sul viale del tramonto della vita, morirà di lì a breve per un mesotelioma, poco dopo aver pubblicato The Wind, uno dei suoi più bei dischi di sempre.


L'autunno di questo 2009 non sembra un'eccezione, dentro tutta questa avventura.
Il rimpiazzo di Danny Freeman con Charlie Sexton pare abbia ridestato l'artista da un letargo che aveva reso il Bob Dylan Show una sorta di circo che si trascinava stancamente in giro per il mondo. Ma il talento di questo straordinario chitarrista non sembra sufficiente a spiegare il desiderio e la passione che riappaiono percepibili nelle performances del Bob di questi giorni. Come G.E. Smith era capace d'interagire con lui in maniera unica, anche Sexton sembra comunque aver innescato un circolo virtuoso con la mai sopita potenzialità di performing artist di Bob Dylan, a tutto vantaggio delle sue canzoni che riusonano nuovamente dolci e potenti allo stesso tempo, a dispetto di una voce ormai roca e stanca ma sempre più colorita di quelle radici blues che la rendono affascinante come non mai.



Ma che Dylan abbia ancora qualcosa da dire lo dimostra anche il nuovo disco, Christmas In The Heart, il disco natalizio i cui proventi andranno a sostenere Feeding America, una sorta di Banco Alimentare americano. Perché non si può cantare Adeste Fideles per contratto, bisogna avere qualcosa nel cuore. Un cuore noncurante, smemorato forse - Forgetful Heart - ma in qualche modo sempre alla ricerca, pronto a riabbracciare quel Destino buono che lo avvolge dentro sé. Ed anche perché accade sempre qualcosa, anche quando ti sembra di non capire - something is happening here, but you don't know what it is - ma l'importante é che tu non perda la strada che porta verso casa. Quella strada che magari, come scrive Rosanne Cash, parafrasando T.S.Eliot nelle note di copertina del suo ultimo disco, fa sì che tu possa tornare da dove sei partito e scoprire quel luogo come se fosse la prima volta. Quella strada che Dylan non sembra smettere di percorrere, a dispetto di se stesso ed a dispetto di ciò che noi pensiamo. Ma che ci piace continuare a condividere con lui.


Note:
(1) tratto da : Bob Dylan, Chronicles vol.1, Feltrinelli ed.
(2) ibid.
(3) ibid.
(4) ibid.

5 comments:

Maurizio Pratelli said...

hei, ma sei il nuovo vites??? grande doc

Fausto said...

Mauri, é' l'amore per Bob, che non viene mai meno :-)

Paolo Vites said...

vites non c'è più. ha creato dei mostri....

è assodato da tempo che durante il NET dylan ha sempre dato il meglio nel periodo autunnale: 1989, 1991, 1992, 2002, 2003 per citare solo alcuni

Fausto said...

Sarà anche risaputo, ma io l'ho scritto per primo, haha

copyright cardioman :-)

Anonymous said...

Forse fanno bene anche a lui le ferie estive...

Bruno "Jackass"