Monday, August 22, 2011

CAHIERS DE FRANCE (12) - PIETRE VIVE



Accadde di notte. Fosse sogno o realtà, poco importa. Una notte d’autunno di quel lontano 708, notte poco tranquilla in cui ad Aubert, vescovo di Avranches, venne negato il riposo. L’arcangelo Michele lo scosse dal sonno, ordinandogli di trasformare in santuario il monte Tombe, isolotto di granito in mezzo alla baia più infestata dalle maree di tutta Francia. Inizia così la storia di Mont Saint Michel, il luogo più visitato del paese, tappa per secoli del perocorso di pellegrini, in cammino verso Roma o Santiago. I monaci benedettini vi giungono appena i duchi di Normandia hanno la compiacenza d’andar via ed é un nuovo inizio: l’abbazia romanica che viene su; poi è fuoco d’incendio, che costringe a ricominciare un’altra volta, e tutto, merletti di pietra ed archi rampanti, è sempre più proiezione verso il cielo: nasce la Merveille ed il suo splendore, spirituale e intellettuale, rischiara tutta la comunità.
Mont Saint Michel è ultimo lembo di terra normanna, ma guide di Bretagna e Normandia ne rivendicano ciascuna appartenenza a sé. Come il gioiello più prezioso di un tesoro, si fa a gara per averne il possesso. L’ingresso al Monte, un portico che fa breccia nella possente cinta delle mura, dà accesso ad una stretta via, che, dopo la locanda della Mère Poulard, s’inerpica lentamente in alto, verso la chiesa.
Ogni ombra del fascino antico è irrimediabilmente persa per chi percorre questa via nelle comode ore del giorno; molto meglio giungervi all’imbrunire, quando il terreno è ormai sgombro dei turisti e le ombre iniziano ad allungarsi sinistre nella baia, facendo a gara con la marea montante. Il nostro ennesimo viaggio, lungo scale, cortili e stanze dell’abbazia, predilige questa volta le ore notturne, dove i giochi di luce creati dai moderni padroni della cattedrale hanno saputo creare impagabili suggestioni. Poi, arrivati lassù, nell’abside della chiesa, monaci e suore vi cantano come solo gli angeli sono capaci di fare. Sono i canti della Fraternità di Gerusalemme, nuova incarnazione del mai defunto carisma di San Benedetto. E quando, all’indomani, nel corso della liturgia domenicale, quegli stessi monaci e suore, passeranno di panca in panca per stringere col loro sorriso le mani dei fedeli, l’unione tra terra e cielo non sembrera più il già e non ancora, ma un sogno che, come d’incanto, è diventato realtà.

Altri monaci ed altre suore, della medesima comunità, ravvivano oggi il fuoco della fede anche a Vézelay. Un gioiello d’architettura, nel cuore di una Borgogna che non è solo vigne e campi di frumento, lasciato troppo a lungo in balia di occhi oscurantisti e illuministi, ma per fortuna conservato intatto sino ad ora. Dopo la guerra, nel 1946, pellegrini d’ogni nazione s’incamminarono sino a qui, desiderando di ritrovare nella fede un’ideale che nessuna bomba facesse più crollare. Ogni popolo dietro ad una croce di legno, finché anche la comunità dei prigionieri tedeschi chiese di costruirne una, per unirsi a quel nuovo cammino di speranza. Oggi tutte quelle croci fanno bella mostra di sé, lunga la navata della splendida abbazia, ma quella di Germania è la più bella: dice al mondo che il male non prevarrà, non avrà l’ultima parola sul destino delle cose.





Obiettivo della Fraternità monastica di Gerusalemme è l’essere pietre vive, testimoniando la bellezza della liturgia. E basta davvero poco per rendersi conto di come sappiano fare bene il proprio lavoro. La comunità cristiana è forse piccola a Vézelay, come lo è a Le Mont Saint Michel, ma è viva e sana. Ma anche questa storia, del seme che sembra morire in inverno per poi rinascere a primavera, è storia già scritta. Storia singolare, ma sempre attuale. “il germe sembra rinascere proprio là dove la terra sembrava inaridita” - scrive Marina Corradi su un editoriale di Avvenire dello scorso 11 agosto, dopo un viaggio a Parigi ed in Spagna - dove sembra prevalere la secolarizzazione. Ma “il seme morto rispunta, invece, ancora, ostinato; e vive e genera, duemila anni dopo”.

(5-continua)


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